Froman: «Gli aiuti all’Ucraina? La maggioranza in America è a favore, alla fine ci riusciremo»

L’Europa guarda come le questioni di politica interna in America stanno influenzando gli aiuti all’Ucraina. Essa stessa divisa, si chiede: � possibile che gli Stati Uniti smettano di finanziare Kiev?
�Il nostro sistema politico � tale, in questo momento, che nonostante ci sia una forte maggioranza a favore degli aiuti sia nell’opinione pubblica che nei due partiti al Congresso, � difficile approvare una legge, per via di una piccola minoranza e delle vulnerabilit� dello speaker della Camera...�, dice al Corriere Michael Froman, il nuovo presidente del Council on Foreign Relations. �Penso che sia importante avere un dialogo con i nostri amici all’estero e far capire che l’America appoggia ancora l’Ucraina. Dobbiamo lavorare attraverso questi processi politici e penso che alla fine ci riusciremo�.
Alla fine, quindi, lei pensa che gli aiuti arriveranno, come insiste l’amministrazione Biden?
�Penso di s�.
L’ambasciatore Froman ha lavorato sia nel governo che nel business: rappresentante Usa per il commercio dal 2013 al 2017 nell’amministrazione Obama � stato poi vicepresidente, e direttore per la crescita strategica, di Mastercard. Lo abbiamo incontrato nella sede del prestigioso think tank americano, a Manhattan, e gli abbiamo chiesto come vede il ruolo del Council on Foreign Relations. �Stiamo affrontando forse il contesto internazionale pi� complesso da 75 anni a questa parte — afferma Froman —. La Guerra fredda � durata 40 anni, il post-Guerra fredda altri 30 e siamo in un nuovo periodo ancora da definire. Ci� rende importante il ruolo del Council di portare un’analisi indipendente e non di parte, basata sui fatti. Ci sono questioni transnazionali pi� difficili che mai, dai cambiamenti climatici alle tecnologie emergenti, il riemergere della rivalit� tra grandi potenze, l’ascesa di Paesi in via di sviluppo in mercati emergenti e nuovi raggruppamenti come i Brics plus. Possiamo facilitare la cooperazione internazionale per affrontare queste sfide in un momento di crescente frammentazione, essere una piattaforma per voci di tutto il mondo, con la nostra rivista, le pubblicazioni, i libri, i materiali educativi per le superiori e l’universit�, il supporto a leader comunitari, religiosi, giornalisti e politici, e ci confrontiamo all’estero attraverso il Council of Council, un gruppo di 28 think tank di tutto il mondo�.
Credete che sia possibile che, dopo la fine di questo conflitto tra Israele e Hamas, si arrivi alla soluzione dei due Stati?
�Possiamo immaginare uno scenario in cui, alla fine di questo conflitto, la politica in Israele, nella comunit� palestinese e nel mondo arabo porti ad essere pi� aperti a ci� che � necessario fare per una credibile soluzione dei due Stati. Ma si pu� anche immaginare uno scenario in cui � molto difficile per gli israeliani sedersi a discutere e giungere ad un compromesso con i palestinesi e c’� anche molta incertezza sulla presenza o meno di una sufficiente leadership dal lato palestinese e da parte dei Paesi arabi. Non sappiamo oggi quale di questi scenari diventer� realt�. Da una parte, questo conflitto ha sottolineato che non si possono ignorare o mettere da parte le questioni fondamentali per avere davvero pace e sicurezza nella regione. D’altra parte, questo conflitto ha mostrato tutte le complessit� del problema: Hamas non vuole una soluzione dei due Stati ma una soluzione, “dal fiume al mare”, che non contempla Israele. � un contesto difficile in cui immaginare un compromesso. � una sfida che si � manifestata per 70-75 anni in vari modi, e le parti dovranno affrontarla quando questo conflitto sar� finito. Ma c’� anche una questione pi� immediata: che cosa succeder� a Gaza dopo la campagna militare? Chi la governer�? Un’occupazione israeliana? Una opzione credibile che permetta di estendere il ruolo dell’Autorit� palestinese dalla Cisgiordania a Gaza? Un possibile coinvolgimento dei Paesi arabi? Un mandato Onu? Ci sono varie ragioni per cui tutte queste sono idee terribili. La sfida � che, a questo punto, non sappiamo nemmeno come verranno risolte le questioni a breve termine�.
Lo slogan �dal fiume al mare� � stato usato in alcune proteste pro-palestinesi nelle universit� americane. Dal momento che ha parlato del rapporto del Council con il mondo dell’istruzione, le chiedo cosa pensa delle audizioni al Congresso delle tre presidenti di Penn, Harvard e MIT, criticate perch� non hanno preso misure pi� dure sull’antisemitismo.
�Ci sono molte dinamiche nei campus universitari ed � cos� da tempo. Questa ne � una manifestazione. Penso che sia una sfida per ogni istituzione, perch� le persone hanno opinioni forti, comprensibilmente e legittimamente, su entrambi i lati — o su tutti i lati — della questione. La sfida per ogni istituzione � essere in grado di creare un ambiente in cui ci sia un dialogo che riflette le complessit� della situazione. Se fossero questioni semplici, le avremmo risolte, perch� ci sono molte persone in gamba che hanno speso la vita cercando di farlo. Ma non � semplice. C’� dietro una storia complessa, con dinamiche, geografia, politica complesse. E penso che ogni istituzione, incluso il Council, abbia il complito — attraverso tutti i suoi strumenti — di consentire di articolare queste complessit�.
C’� anche il tema della libert� di parola, che � un principio delle istituzioni e della Costituzione americana, e questo principio � entrato in crisi. Uno dei punti di discussione centrali nell’audizione al Congresso delle rettrici � stato se si debba o peno punire la �parola� o solo la �condotta� nei casi di antisemitismo.
�Non solo le universit�, anche le aziende devono affrontare questi temi, quando viene chiesto loro di fare dichiarazioni o di esprimere una posizione su varie questioni. Ci sono dibattiti nelle agenzie governative e nel dipartimento di Stato. Le persone hanno opinioni forti e divergenti, perch� questo � uno degli argomenti pi� complessi e divisivi che esistano. Il punto � creare un ambiente dove possano essere articolate in modo costruttivo, in una conversazione rispettosa, dove identificare punti comuni e non, per creare un ponte e andare avanti�.
La politica americana nei confronti della Cina cambierebbe se Trump tornasse presidente?

�Penso che questa sia una delle rare questioni su cui pare esserci un notevole consenso bipartisan. Il presidente Biden ha continuato molte delle politiche del presidente Trump nei confronti della Cina. Non ho la presunzione di fare speculazioni su quello che accadrebbe nella prossima amministrazione, ma c’� continuit�.
Ma alcuni accordi commerciali cui lei aveva lavorato nell’amministrazione Obama (come il Trans-Pacific Partnership) sono stati ripudiati da Trump durante la sua presidenza. Quindi ci sono delle differenze.
�Penso che il consenso sulla visione del commercio e della politica economica sia cambiato verso la fine dell’amministrazione Obama. Trump ne � stato un riflesso e penso che Biden abbia ampiamente continuato in questa prospettiva, anche se con alcune modifiche, con molta pi� collaborazione con i nostri alleati e partner nell’Indo-Pacifico�.
Per� all’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) di San Francisco a ottobre non si � raggiunto un accordo sul commercio.
�Non sul pilastro commerciale, ma su diversi altri pilastri s�. Hanno raggiunto un accordo sulle catene di approvvigionamento, cio� fondamentalmente sul commercio, i liberi investimenti, la transizione energetica, le tasse, la lotta alla corruzione. Stanno facendo progressi, anche se c’� ancora strada da fare�.
Nel suo discorso al Brookings Institution di Washington, lo scorso marzo, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan ha parlato anche di globalizzazione: � una eccessiva semplificazione leggere in quel discorso un legame diretto tra gli effetti della globalizzazione e la vittoria di Trump nel 2016?
�� una semplificazione eccessiva. Penso che ci sia stata una combinazione di fattori: la globalizzazione, la tecnologia, questioni sociali o culturali in relazione tra loro. Quello che abbiamo visto nelle elezioni del 2026 � che molti negli Stati Uniti sentivano di aver perso il contatto con il loro modo di vivere, non si sentivano rappresentati dalle istituzioni, provavano un senso di alienazione. E ci sono diverse ragioni. Molti economisti dicono che quando c’� una dislocazione del lavoro, per l’80% ci� � dovuto alla tecnologia, forse per il 20% alla globalizzazione, ma la gente non vota sul software o sullo sviluppo tecnologico, vota sull’immigrazione, sul commercio, che quindi diventano capri espiatori quando le persone si sentono insicure economicamente sul proprio futuro e quello delle proprie famiglie o quando vedono le loro comunit� sotto pressione e le strutture sociali iniziare a sfibrarsi. Si tende a chiudersi. L’isolazionismo, il protezionismo, il nativismo, il nazionalismo ne sono un riflesso. Non � che la globalizzazione in s� non conti, ma spesso riscuote un’attenzione sproporzionata perch� � pi� facile da additare nella politica interna�.
L’America sta vivendo una fase di pessimismo, nonostante la resilienza della sua economia, pessimismo che si unisce alla retorica isolazionista e si riflette nei sondaggi: molti elettori repubblicani dicono che si � fatto gi� troppo per Kiev. Ma l’America pu� restare un faro per il mondo?
�Se guardiamo alla crescita economica degli Stati Uniti, siamo su una traiettoria migliore rispetto a prima della pandemia, e siamo l’unico Paese. Il Giappone � leggermente sotto di noi, la Cina � il 4% sotto a quello che era, l’Europa � pi� lenta. Ci sono ottime ragioni per essere ottimisti. Gli Usa attraversano storicamente ondate di ottimismo e pessimismo, quello che � nuovo � il senso che il Sogno americano sia pi� difficile da raggiungere, come genitore vedi che i tuoi figli potrebbero non stare meglio di te come era accaduto tradizionalmente in passato. Questo porta all’ansia per l’economia, e poi al sostegno a politiche pi� populiste, protezioniste, nazionaliste e nativiste. Come nazione tendiamo ad alternare ondate di pessimismo e ottimismo, perch� da una parte vediamo che la nostra Unione � imperfetta, che abbiamo molte cose su cui lavorare, dal razzismo alle disparit� salariali, ma d’altra parte siamo ottimisti sui nostri valori e crediamo di poter essere un faro anche per gli altri. Parte dell’essere un faro � riconoscere i tuoi limiti e che la democrazia � caotica, e a volte proprio disfunzionale. Ma se guardiamo alle decisioni catastrofiche di autocrati come Putin in Ucraina o l’approccio della Cina alla pandemia, questi fallimenti sono il riflesso di mancanza di feedback, di libert� di stampa e di espressione, di qualcuno che dica al governo che quel che vuol fare non pu� funzionare�.
Il presidente Biden, che si trova nel mezzo di cambiamenti come il consenso sulla globalizzazione e sul commercio e come l’ascesa della Cina, pu� mantenere la sua attenzione anche sull’Europa?
�C’� una certa continuit� tra Trump e Biden sulla Cina. La grossa differenza � l’impegno di Biden per le alleanze. E la Nato in parte grazie a Biden e in parte a Putin � pi� grande e pi� forte che mai. I Paesi europei stanno facendo di pi� per la loro difesa, nell’ambito delle loro capacit�. Nell’Indo-Pacifico abbiamo il Quad, Aukus, il processo trilaterale tra Usa, Giappone e Corea del sud. Ci sono molti impegni concreti che hanno preso forma. Questo impegno per le alleanze � probabilmente una delle aree che cambierebbero se ci fosse un presidente diverso anche se alcune inclinazioni resterebbero le stesse�.
Quali cambiamenti ha portato come presidente del Cfr?
�Abbiamo sempre dedicato risorse significative a temi come Russia, Ucraina e Medio Oriente gi� prima del 7 ottobre e certamente dopo. Io ho introdotto alcuni temi trasversali. Uno di questi � la costruzione di un nuovo consenso sulla leadership economica internazionale: il periodo di iper-globalizzazione � probabilmente finito, ma quali sono i nuovi principi guida dell’economia internazionale, per commercio o investimenti, controlli sulle esportazioni o gestione delle sanzioni? Il secondo tema riguarda la rivalit� tra grandi potenze, con una particolare attenzione alla Cina. E il terzo sono le tecnologie emergenti: l’Intelligenza artificiale, il calcolo quantistico, la biologia sintetica e le relazioni con la politica estera, la sicurezza nazionale, l’intelligence, l’economia. Il quarto � il clima e il nesso che ha con i conflitti, le migrazioni, la sicurezza alimentare, il commercio globale, la finanza. Ed � su questi temi che si trovano tra molteplici discipline che possiamo svolgere un ruolo particolarmente interessante. Quello che rende il Council unico rispetto ad altri think tank, editori, istituzioni educative siamo una organizzazione basata sulla membership: abbiamo 5.500 membri che sono leader nel giornalismo, nel governo, nella finanza, nel business, nel diritto, nelle arti, scienze e tecnologie e della societ� civile, che portano la loro esperienza al tavolo�.