Parlare lentamente può essere sintomo di declino cognitivo: ecco come capirlo
Fermarsi in una conversazione perché si fa fatica a «recuperare» quel che si vuole dire sembra un segno fisiologico di invecchiamento mentre parlare velocemente indica una buona salute del cervello
Man mano che si invecchia non è raro notare che occorre più tempo per trovare le parole giuste durante una conversazione. Questa situazione in genere preoccupa perché può sembrare un segnale di declino cognitivo e demenza. Ma è proprio così?
Un nuovo studio dell'Università di Toronto pubblicato su Aging suggerisce invece che la velocità nella conversazione è un indicatore della salute del cervello più importante della difficoltà nel trovare le parole giuste in un discorso, che invece sembra essere segno di un normale invecchiamento. «I nostri risultati indicano che i cambiamenti nella velocità del parlare possono riflettere cambiamenti nel cervello» afferma il dottor Jed Meltzer, neuroscienziato a autore principale dello studio. «Tutto questo suggerisce che la velocità di conversazione dovrebbe rientrare nei test di valutazione cognitive per aiutare i medici a intercettare più velocemente il declino cognitivo».
L'importanza della diagnosi precoce del deterioramento cognitivo
Lo studio si inserisce in una lunga, ma recente, produzione di ricerche che puntano a identificare con rigore i segni iniziali di declino cognitivo che potrebbero sfociare in demenze, in particolare Alzheimer, differenziandoli dal normale invecchiamento fisiologico. Nel mondo scientifico internazionale c'è grande fermento in questo campo perché i nuovi farmaci monoclonali contro l'Alzheimer (per ora disponibili solo negli Stati Uniti) hanno dimostrato una certa efficacia nell'eliminare la proteina beta amiloide nel cervello solo se assunti nella fase molto precoce della malattia. Intercettare con anticipo i segnali della malattia diventa dunque cruciale per selezionare i pazienti a cui somministrare la terapia. Da parte della comunità scientifica è in atto uno sforzo per riuscire a capire quali variazioni del comportamento sono un segnale preoccupante. «Gli indici di rischio devono tuttavia avere particolari caratteristiche: essere facilmente ottenibili, senza necessità di test estesi, ed essere misurabili nel tempo per coglierne i cambiamenti. Sappiamo infatti che le difficoltà legate all'invecchiamento non peggiorano in modo marcato, mentre le difficoltà legate a una patologia neurodegenerativa hanno un carattere progressivo» sottolinea Stefano Cappa, professore ordinario di Neurologia all'Università degli Studi Avanzati di Pavia.
I tre test utilizzati nello studio
Nello studio 125 volontari sani di età compresa tra i 18 e i 90 anni hanno completato tre diverse valutazioni. Il primo test era un gioco con immagini e parole in cui non si doveva farsi distrarre. I volontari dovevano rispondere a domande su una serie di immagini ignorando le parole distraenti sentite attraverso le cuffie. Per esempio guardando l'immagine di uno «spazzolone» veniva chiesto ai volontari se la parola terminava per "e" mentre in sottofondo ascoltavano la parola «scopa» come elemento confondente. In questo modo i ricercatori hanno potuto testare la capacità dei partecipanti a riconoscere l'immagine e a ricordarne il nome. Nel secondo test i partecipanti sono stati registrati mentre descrivevano due immagini complesse per la durata di un minuto ciascuna. Le loro capacità linguistiche sono poi state testate utilizzando un software basato sull'intelligenza artificiale. I ricercatori hanno anche esaminato la velocità con cui ciascun partecipante parlava e la durata delle pause. Nel terzo test i volontari hanno completato questionari per valutare le loro capacità cognitive che tendono a diminuire con l'età e sono legate al rischio di demenza (ovvero la capacità di gestire informazioni contrastanti, restare concentrati, evitare distrazioni).
Sorprendentemente, anche se le capacità di ricerca delle parole diminuivano con l’età, non erano collegate al declino cognitivo complessivo, ma più che altro a un invecchiamento fisiologico. Invece, una velocità di conversazione più lenta è stata associata a funzioni esecutive più deboli, suggerendo che la velocità del parlato potrebbe essere un indicatore cruciale per rilevare precocemente i cambiamenti cognitivi. «Questo lavoro, che è interessante, mostra che non sembrano essere le pause di per sé a preoccupare, ma il rallentamento del processo di selezione della parola, ovvero la velocità con cui si riesce ad accedere alle informazioni linguistiche. Non tanto dunque la velocità del parlato, ma la velocità del processo per recuperare le parole per poi pronunciarle nel modo più efficiente possibile».
Che cosa è allora emerso nel nuovo lavoro?
- Lo studio sottolinea che la velocità nel parlare rispetto alle difficoltà nel trovare le parole è un indicatore più significativo della salute cognitiva.
- Le prestazioni linguistiche, analizzate con l'intelligenza artificiale, hanno rivelato che una velocità del parlato più lenta, e non le pause per trovare le parole, sono correlate al declino cognitivo.
- La ricerca suggerisce di includere i test sulla velocità del parlato nelle valutaziuoni cognitive per intercettare i primi segnali di declino cognitivo.
Come previsto dunque molte abilità diminuiscono con l'età, inclusa la velocità nel trovare le parole giuste. Ma non è stata la pausa per riordare le parole a mostrare il legame più forte con la salute del cervello, bensì la velocità del discorso prima e dopo le pause. Sebbene molti anziani siano preoccupati per la necessità di fermarsi per cercare le parole durante un discorso, questi risultati suggeriscono che si tratta di una necessità dovuta al normale invecchiamento. Invece rallentare il ritmo della conversazione, indipendentemente dalle pause, è un indicatore importante del fatto che la salute del cervello sta peggiorando.
La ricerca sui test cognitivi
In studi futuri potranno essere condotti test con volontari da seguire per diversi anni per chiarire se effettivamente la velocità dell'eloquio è predittiva della salute del cervello negli individui che invecchiano. «Un altro test facilmente accessibile che dovrà essere studiato è il "rapid naming"» suggerisce il neurologo. «Il test consiste nel mostrare alcune figure al paziente che il più rapidamente possibile deve indicare che cosa rappresentano: funziona molto bene nei bambini con disturbi di acquisizione del linguaggio, ma sembra essere efficace anche per intercettare negli adulti i disturbi cognitivi iniziali. Sono tuttavia necessari ampi studi per confermarne l'efficienza. Se così fosse questo è un test semplicissimo, ripetibile e potrebbe avere un elevato valore predittivo». Anche registrare come una persona parla è un modo semplice e facilmente ripetibile per raccogliere dati di questo tipo. Tra i numerosi elementi vengono misurate anche le pause. Contrariamente a quanto ha concluso quest'ultimo studio, altri lavori hanno in realtà indicato le pause come un possibile indice di declino cognitivo. Ma sul punto, è evidente, non c'è ancora un pensiero univoco. Le pause potrebbero aumentare per molti motivi, magari per un rallentamento degli aspetti motori: invecchiando si cammina più lentamente, e anche parlare è un atto motorio. La ricerca sta lavorando per intercettare indicatori univoci sempre più accessibili