Vera Omodeo, chi è l'artista della «donna che allatta». Malata di nefrite, i medici le dissero che non poteva avere figli: ne ebbe 6 | Le polemiche

diFrancesca Bonazzoli

Milanese,  è scomparsa quasi centenaria nel 2023. Negli anni '80 fu la prima donna a realizzare il portale di una chiesa. Il ricordo della figlia Serena: «Di notte ci cucinava le torte. È stata una persona risolta e interiormente femminista»

La maternità è il tema più ricorrente nella storia dell’arte di tutti i popoli, fin dalla preistoria, e lo è stato anche nel lavoro di Vera Tiberto Omodeo Salé, al centro delle polemiche di questi giorni perché la commissione del Comune che valuta le proposte di collocazione di manufatti artistici negli spazi pubblici ha bocciato la richiesta di piazza Duse da parte dei figli dell’artista. La statua che rappresenta una donna mentre allatta un bambino, questa la motivazione del rifiuto, affronterebbe il «tema della maternità con sfumature squisitamente religiose».

Valutazione che non potrebbe essere più errata perché nell’iconografia cristiana la «Madonna del latte», il tipo più antico di Madonna col Bambino, probabilmente ereditato dall’immagine della dea egizia Iside col figlio Oro, cessò di essere rappresentato dopo il Concilio di Trento, nel 1563, in seguito alla proibizione di raffigurare la nudità nelle persone sacre. Per la scultrice e ceramista Vera Omodeo, milanese, scomparsa quasi centenaria nel 2023, il tema della maternità è stato prima di tutto biografico. Infatti dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera sotto la guida di Francesco Messina e Romano Rui, l’artista si ammalò di una grave forma di nefrite. I medici riuscirono a salvarla ma le dissero che non avrebbe potuto avere bambini. Invece Vera ne mise al mondo sei – uno morì in tenera età - con l’industriale Adolfo Omodeo Salé.

L’iconografia della maternità nasce quindi da una profonda affinità elettiva e infatti il primo lavoro di Vera Omodeo è stato una Madonna col Bambino, da cui non si è mai separata e che ha tenuto nella sala da pranzo della sua casa. Negli anni Ottanta fu incaricata di realizzare il portale di Santa Maria della Vittoria, in via De Amicis, vicino alle Colonne di San Lorenzo, luogo di culto della comunità rumena di fede ortodossa. E anche in questo grande lavoro in bronzo, il primo portale mai realizzato da un’artista donna, la storia della vita di Gesù è raccontata mettendo in primo piano la Madre, dall’Annunciazione fino alla Pentecoste.

Alla scultura Vera arrivò dopo l’adolescenza dei figli, quando riprese l’Accademia e ricominciò a dipingere. Ma i pennelli non le bastavano.
«Quando la mamma aveva circa cinquant’anni dormiva meno e cominciò a cucinare torte di notte. La casa si riempiva di profumo. Dalla pasta è passata alla creta. È tornata a Brera ed è rifiorita. Aveva una determinazione ferrea: dovunque andasse in viaggio portava sempre dietro la creta e tornava con dei bozzetti», racconta la figlia Serena. «Non si è mai preoccupata di avere dei riconoscimenti. Lavorava per la gioia di lavorare. Pensi che siamo cinque figli e nessuno di noi le ha mai chiesto se sentisse il bisogno di un’affermazione pubblica e sono sicura che lei si sarebbe stupita della domanda».

Vera Omodeo regalava le sue sculture, spesso per mercati di beneficenza dove venivano sempre tutte comprate e contribuivano a raccogliere fondi per le associazioni soprattutto di bambini. «Mio padre la sosteneva e l’incoraggiava in tutto, ma avevano deciso di non entrare nelle beghe del mercato dell’arte e delle gallerie. Erano una coppia degli anni Cinquanta. Può sembrare un atteggiamento maschilista, ma la verità è che la mamma tutte le sere tornava a casa dal suo studio alle nove ed eravamo noi a cucinare. La determinazione è il metodo di vita e di lavoro che mi ha insegnato».

E infatti, racconta la figlia, la scultura non è mai stata un passatempo per Vera. Mentre la stragrande maggioranza degli artisti che lavorano con il bronzo delegano il lavoro pesante agli artigiani della fonderia, Omodeo si occupava personalmente di tutte le fasi, comprese le limature e le patine finali.

«È stata una donna molto determinata e molto pacifica, risolta, interiormente femminista e non vorrebbe sentire parlare di queste polemiche», spiega la figlia Serena. «Le piacerebbe solo che le donne venissero valorizzate e mi auguro che questa vicenda dia lo spunto perché le amministrazioni dialoghino di più con le associazioni che lavorano con le donne come “Toponomastica femminile”. Noi abbiamo proposto piazza Duse perché nel modulo da compilare, il Comune chiede di indicare una collocazione per la statua che si intende donare. Abbiamo allegato una simulazione grafica e per noi stava benissimo lì, ma non era una richiesta tassativa. Anzi. Quando avevamo detto alla mamma che ci saremmo impegnati per collocare una sua statua in città, lei ci aveva risposto con la sua consueta ritrosia: “Ma no, ma cosa dici, ma chi vuoi che metta una mia statua”».

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6 aprile 2024

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