Linfoma diffuso a grandi cellule B, una nuova strategia riduce il rischio di ricaduta
Approvata in Italia una combinazione per i pazienti adulti con questo aggressivo tumore del sangue non pretrattato. Un passo avanti dopo 20 anni: crescono le possibilità di guarire con il primo ciclo di cure

(Getty Images)
Per la prima volta dopo 20 anni è disponibile una nuova cura da utilizzare in prima linea nei pazienti adulti a cui viene diagnosticato un linfoma diffuso a grandi cellule B, la forma più comune di linfoma non-Hodgkin. L'Agenzia Italiana del Farmaco ha, infatti, concesso la rimborsabilità a un farmaco innovativo (polatuzumab) in combinazione con la chemioterapia in malati non trattati precedentemente dopo che gli esiti delle sperimentazioni hanno indicato che questa strategia riduce del 27% il rischio di progressione della neoplasia, ricaduta o morte rispetto all'attuale regime chemioterapico standard.
Per i malati più a rischio di ricadute
Il linfoma diffuso a grandi cellule B rappresenta circa il 30% di tutti i linfomi aggressivi, che hanno un decorso clinico più rapido e richiedono un trattamento tempestivo. È un tumore del sangue caratterizzato da una rapida crescita dei linfociti B, un tipo di globuli bianchi (cellule del sistema immunitario), che viene diagnosticato circa a 13.200 italiani ogni anno.
Sebbene una percentuale considerevole di pazienti risponda positivamente al trattamento iniziale, quasi quattro su 10 non mostrano risposta o sperimentano una ricaduta. E il via libera di Aifa riguarda proprio, nello specifico, chi ha una neoplasia a rischio intermedio o alto di recidiva (con il cosiddetto fattore di indice prognostico (IPI) 3-5.
I vantaggi della nuova cura
«Polatuzumab in combinazione con il regime chemioterapico R-CHP (ovvero rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone) è la prima terapia dopo circa 20 anni ad aver dimostrato un beneficio significativo in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia per il trattamento di prima linea del linfoma diffuso a grandi cellule B - spiega Maurizio Martelli, professore Ordinario e direttore dell'Ematologia all'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I Università Sapienza di Roma -. Un passo avanti all'attuale terapia standard (R-CHOP, ovvero rituximab più ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) che potrebbe significativamente migliorare gli esiti e portare benefici tangibili a chi affronta questo linfoma aggressivo». A dimostrare i benefici della nuova combinazione sono stati gli esiti dello studio di fase tre POLARIX, che ha arruolato 879 pazienti e ha indicato come le persone curate con polatuzumab più R-CHP, a un follow up di due anni, ricevono molte meno terapie successive (sistemiche, radioterapiche, autotrapianto e CAR-T) rispetto a quelle trattate con R-CHOP.
Possibilità di guarire
«Questa nuova terapia, arrivata dopo decenni di tentativi, aumenta le possibilità di guarigione dei pazienti con la prima linea di trattamento, riducendo quindi la necessità di dover ricorrere a terapie di seconda e di terza linea, spesso molto gravose e impegnative per i pazienti e per la sostenibilità del sistema sanitario - chiarisce Antonello Pinto, direttore Medico dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale IRCCS di Napoli -. È quindi una strategia terapeutica che non solo riduce il rischio di recidiva, ma contribuisce anche a preservare e migliorare la qualità della vita dei malati». Per curare questa neoplasia, anche nei casi in cui si verificano recidive, si stanno facendo largo terapie innovative come le CAR-T, che sono linfociti T del paziente potenziati per aggredire le cellule tumorali (già approvate nel nostro Paese), oppure gli anticorpi bispecifici, che legano i linfociti T alla cellula tumorale, permettendone la distruzione.