Gli affari d’oro dei pusher, dal Marocco ai boschi della droga di Varese: una tenda-spaccio frutta 5 mila euro al giorno
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In un anno i proventi superano il milione e mezzo di euro. La guerra tra bande fra agguati, gambizzazioni, rapimenti e torture. Sesto Calende, il blitz dei carabinieri: 12 arresti
Anche in quest’ultimo giro di arrestati (12) non mancano gli irregolari né quelli che, già destinatari di magari plurimi ordini di espulsione, son rimasti in Italia. Il solito triste andazzo, manco fa più notizia. In aggiunta, i diretti protagonisti, d’origine marocchina della zona di Béni Mellal, son rimasti a campare alla stessa maniera. Cioè con lo spaccio di droga nei boschi di Varese. L’operazione dei carabinieri coordinati dalla prolifica Procura di Busto Arsizio (dall’anno scorso, per la cessione di stupefacenti, 111 in manette) aiuta a comprendere l’intensità del fenomeno. Il sostituto procuratore Ciro Caramore ha aggiunto alle sue specializzazioni lo studio e il contrasto delle bande nordafricane.
Ebbene le indagini, concentrate sulla geografia di Sesto Calende, hanno permesso di conteggiare quando renda una piazza di spaccio nascosta fra gli alberi e con base le tende da campeggio dove i pusher vivono e dormono così da sorvegliare senza interruzione d’un solo minuto il territorio: 4.500/5mila euro al giorno. Il che, su una distanza annua, porta a superare il milione e mezzo di euro. Il numero dei 12 arrestati è parziale poiché 4 sono irreperibili oppure si sono buttati latitanti, magari a Béni Mellal, una regione lontana dal mare e dall’oceano, fra le più povere del Marocco, un antico e classico punto di partenza dell’emigrazione — lì prese avvio l’ondata dei cosiddetti vu cumprà — nonché del reinvestimento dei proventi della droga specie in bar e negozi di macelleria.
Il lavoro della Procura retta da Carlo Nocerino ha proseguito quello del maggio 2023 quando i carabinieri avevano sventato una probabile imminente strage: due bande si stavano per affrontare e nessuno era in grado di stabilire possibili tragedie interne, a causa del medesimo scontro, e danni collaterali con proiettili addosso ai passanti. Una fazione era stata bloccata e restavano gli avversari, adesso spediti in carcere. Il loro arsenale, comprendente fucili a canne mozze, pistole, lame d’ogni sorta, conferma l’estrema pericolosità bellica dei marocchini che nella sequenza di agguati, gambizzazioni, rapimenti e torture a danno dei connazionali concorrenti dimostrano una ferocia di rado vista finanche da investigatori esperti e di mondo.
Non potrebbe essere altrimenti nella misura delle rendite garantite da questi boschi, aree ampie, con un intrico di sentieri visibili e occultati, e colline, precipizi, canali d’acqua. La progressione tecnica delle bande nella gestione dei traffici ha giocoforza incrementato la difficoltà della caccia: gli appostamenti di carabinieri e poliziotti necessitano d’una lunga preparazione, la collocazione delle telecamere per documentare lo spaccio ancora di più, e permane, costante e insidioso, il turnover; come raccontato dal Corriere la scorsa primavera nel viaggio proprio nella zona di Béni Mellal, un’intera generazione di ventenni si è votata all’attività di soldato della droga: la partenza per la Lombardia, uno oppure due mesi a smazzare coca ed eroina, il rimpatrio, e nuove squadre di coetanei a loro volta in partenza.
Se il panorama fornito dai pusher alterna una quotidianità perfino animale, senza mangiare, senza lavarsi, in perenne allerta, anime sbandate eppure fondamentali per una cifra spaventosa di tossicodipendenti (l’inchiesta ha documentato in pochi mesi la vendita di 10mila dosi), sempre s’attende la scalata investigativa ai capi. Ma ecco, ci vorrebbe un coordinamento fra le Procure poggiando come perno su quella di Busto Arsizio, per competenza ed esperienza. Riflessione che gira da tempo, essendo logica, ma che ovviamente, essendo in Italia, tarda a concretizzarsi.
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