Benedire i sentimenti, non le unioni i peccatori, non il peccato

Caro Aldo,
leggo che il Papa sarebbe orientato a benedire le unioni omosessuali e chiedo il suo parere. Personalmente penso che si tratti di un errore colossale oltre che di una deviazione dall’orientamento millenario della Chiesa su questo tema.
Bruno Peiré, Genova

L’esclusione è il contrario dell’amore. Francesco ha capito da tempo questa contraddizione che riguarda le minoranze sessuali e ha aperto alla «benedizione», non matrimonio, delle coppie gay. Il riconoscimento è minimo nella forma, ma importante nella sostanza, perché afferma che per un cristiano non esistono intoccabili. La Chiesa si sta evolvendo?
Massimo Marnetto

Cari lettori,
La benedizione alle coppie omosessuali ha fatto molto discutere. Uno di voi mi ha scritto: «Non c’è nulla di male, la Chiesa benedice pure i cavalli del Palio di Siena, pure le automobili…». Siamo seri: non mi pare che la scelta di Francesco abbia questo senso. Se c’è un tratto costante del suo pontificato, è il rispetto per la persona degli omosessuali («chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?»). Credo che la benedizione sia rivolta appunto alle persone e ai sentimenti, non a unioni che — pure su questo Bergoglio è stato chiaro — non potranno essere equiparate a un matrimonio, cosa che a dire il vero neppure la legge italiana fa. In passato la Chiesa distingueva tra omoerotismo — i sentimenti — e l’omosessualità, cioè la pratica. Dante, che pure era un uomo del Medioevo, colloca molti omosessuali in Purgatorio; il che significa che sono salvi e andranno in Paradiso. Francesco, che è un uomo del ventunesimo secolo, va ovviamente oltre. La Chiesa non benedice un peccato; benedice i peccatori; e stiamo ancora aspettando che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Francesco non ha fatto le riforme che i progressisti si attendevano, dai preti sposati al sacerdozio femminile. Ma spostando il discorso papale dal sesso alla povertà, dai temi etici a quelli sociali, dalla lotta al relativismo alla lotta contro l’esclusione ha toccato corde diverse, spesso in sintonia con le emergenze del nostro tempo: le disuguaglianze crescenti che logorano la fiducia nella democrazia, la proliferazione nucleare e il cambio climatico che tradiscono il compito affidato da Dio all’uomo, custodire il creato e proseguire il miracolo della creazione, non soltanto procreando figli ma garantendo loro la possibilità di sopravvivere e trasmettere la vita.

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«Io prof e i computer rubati a scuola, che amarezza»

Ho aspettato prima di buttare giù questi pensieri. Aspettato che mi passasse il magone, la voglia di mettermi a piangere di fronte a questa notizia. La scuola è l’ultimo baluardo, frontiera, terra incontaminata in cui si vive in una comunità aperta di tante menti pensanti. I bambini e i ragazzi a scuola sono vissuti nella loro individualità come unici e osservati, pensati, fatti crescere. Nella scuola si vive e si mangia tutti insieme, tutti allo stesso modo, nella differenza delle individualità che spesso rende difficoltosa la convivenza e acceso il dialogo. Nella scuola hai a che fare con genitori che difendono a spada tratta il loro piccoli (anche se maggiorenni) e genitori che non vedi mai, ma ti prendi cura tu dei loro figli. Nella scuola spesso i bimbi o ragazzi hanno le prime o uniche opportunità di viaggio all’estero per esperienze che economicamente non potrebbero mai affrontare da soli o in famiglia. E allora lì, vedi lo stupore e quella luce negli occhi. Quando sei tornato, i ragazzi ti dicono «Prof, vorrei essere rimasto in quel tempo». Nella scuola si vive una realtà che pensi giusta fino al momento in cui i «ladri» non arrivano, la mia è appena stata oggetto di furto, computer delle aule, pazienza. Qualche disguido in più la mattina per prendere i portatili e farli arrivare in tutte le aule, si lavora e si restituiscono. Si affronta tutto. Ma quando i ladri sono nella scuola, non ho più parole, non ce la faccio, rubare ai bimbi e ai ragazzi significa rubare il futuro, la fiducia, minare le prospettive di giovani che non ti riconoscono più come qualcosa di diverso, di gratuito e di genuino. E questo fa male.
Una prof

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