Morto Giovanni Sabbatucci, storico dell’«anomalia italiana»

di ANTONIO CARIOTI

Lo studioso scomparso a 80 anni nella sua casa di Roma. Aveva concentrato le sue ricerche in particolare sul fascismo e su tutto ci� che aveva allontanato il nostro Paese dall’instaurazione di una solida democrazia liberale di stampo europeo

Morto Giovanni Sabbatucci, storico dell’«anomalia italiana»

L’anomalia italiana, nei suoi diversi aspetti, era da sempre l’argomento di studio principale dello storico Giovanni Sabbatucci, scomparso il 2 dicembre all’et� di 80 anni nella sua casa di Roma. Aveva analizzato il fenomeno del trasformismo, la mancanza di una forte sinistra riformista, la debolezza patologica di una classe dirigente liberale che si era piegata al fascismo, ovviamente la dittatura stessa e le sue durature conseguenze. Tutto ci� che, dall’epoca risorgimentale in poi, aveva allontanato il nostro Paese dal cammino verso l’instaurazione di una solida democrazia liberale di stampo europeo.

Collaboratore di vari organi di stampa e frequente ospite di trasmissioni televisive, Sabbatucci, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, era noto al grande pubblico anche per il manuale scolastico che aveva realizzato nel 1988 per la casa editrice Laterza con i colleghi Andrea Giardina e Vittorio Vidotto. Un testo di esemplare chiarezza che, considerando le sue diverse edizioni aggiornate, � arrivato a vendere due milioni di copie, a dispetto di alcune critiche che gli sono state rivolte in passato, per una pretesa faziosit�, da politici alla ricerca di facili e infondate polemiche.

Nato a Sellano, in provincia di Perugia, il 24 agosto 1944, Sabbatucci si era laureato a Roma nel 1968 sotto la guida del maggiore biografo di Benito Mussolini, Renzo De Felice. E aveva approfondito, nella sua tesi, le vicende dell’irredentismo e del nazionalismo. Critico acuto di tutte le infatuazioni ideologiche, aveva posto in rilievo le distorsioni su cui erano cresciuti pericolosi miti bellicisti, come l’idea che Trento e Trieste non aspettassero altro che ricongiungersi all’Italia unita e la raffigurazione del nostro Paese quale �nazione proletaria� in ascesa e destinata a conquistare il fatidico �posto al sole�.

In seguito Sabbatucci aveva indirizzato le sue indagini verso le turbolenze attraversate dal sistema politico italiano all’indomani della Prima guerra mondiale, con l’irruzione impetuosa delle masse sulla scena pubblica. Aveva pubblicato nel 1974 il saggio I combattenti nel primo dopoguerra (Laterza), ma pi� in generale si era soffermato sul clima di generale delegittimazione dello Stato che aveva prima propiziato l’ascesa del Partito socialista, collocato allora su posizioni di radicalismo rivoluzionario, e poi favorito la violenta reazione del fascismo, fino all’instaurazione di un regime liberticida.

A proposito delle mosse compiute da Mussolini, giunto al governo nel 1922, per assicurarsi il potere assoluto, Sabbatucci aveva puntato la sua attenzione sulla riforma elettorale del 1923, che prevedeva un abnorme premio di maggioranza per la lista risultata prima nella graduatoria proporzionale. L’approvazione di quel testo — passato alla storia come �legge Acerbo� dal nome del membro del governo che l’aveva elaborata — fu definita da Sabbatucci �il suicidio della classe dirigente liberale�: una dimostrazione di pavidit� tanto pi� grave in quanto allora il fascismo disponeva a Montecitorio di un numero limitato di deputati, peraltro eletti nel 1921 all’interno dei Blocchi nazionali promossi dal moderato Giovanni Giolitti.

In seguito Sabbatucci aveva volto il suo sguardo verso sinistra, analizzando i diversi fallimenti del socialismo italiano, la sua incapacit� di offrire uno sbocco concreto alle istanze egualitarie delle classi pi� umili. In un saggio intitolato Il riformismo impossibile (Laterza, 1991) si era soffermato sulle ragioni per cui le correnti massimaliste avevano finito per prevalere nettamente nel Psi, in particolare per l’effetto dell’�ancoraggio simbolico� fornito loro dal successo della rivoluzione sovietica, e i comunisti avevano conquistato un’egemonia stabile all’interno dello schieramento progressista italiano.

Forse l’opera di maggiore impegno interpretativo dello storico umbro � per� un successivo volume del 2003, Il trasformismo come sistema (Laterza). Qui la pratica della cooptazione nelle maggioranze governative di pezzi dell’opposizione, inaugurata nell’Ottocento dal primo ministro Agostino Depretis, viene considerata non un’espressione di malcostume politico, da condannare sul piano del giudizio etico, ma un’esigenza strutturale dovuta alla debolezza di fondo della costruzione nazionale italiana. Per garantire stabilit� al sistema, in un quadro di forti divaricazioni ideologiche e profonde fratture sociali, era divenuto necessario allargare le maggioranze parlamentari sulla base delle convergenze possibili, sacrificando la coerenza programmatica agli imperativi della governabilit�.

Un metodo che si era dimostrato funzionale nei primi decenni di vita dello Stato unitario, ma aveva precluso la possibilit� di una competizione aperta tra schieramenti contrapposti per la guida del Paese. Tale modello si era per alcuni versi riproposto, secondo Sabbatucci, all’indomani della Seconda guerra mondiale, sia pure in un contesto dominato da forze politiche organizzate che avevano invece un peso di gran lunga inferiore, inizialmente nullo, nell’Italia liberale. Anche la stagione democratica postbellica, fino all’avvento del sistema elettorale maggioritario nei primi anni Novanta, si era articolata intorno a maggioranze conflittuali ma inamovibili, facenti capo alla Democrazia cristiana, attraverso un complicato gioco di mediazioni partitiche e correntizie che aveva diversi punti in comune con l’esperienza trasformista.

Sempre in riferimento alla Repubblica nata nel 1946, merita poi di essere ricordata la critica argomentata che Sabbatucci aveva mosso alle visioni cospirative delle sue vicende, per esempio in due saggi contenuti nel volume a pi� voci Miti e storia dell’Italia unita (il Mulino, 1999). Trovava insostenibile l’ipotesi di un grande complotto ordito nell’ombra per condizionare in senso conservatore gli equilibri politici. Riteneva piuttosto che si dovesse indagare sul terrorismo, le mafie, le trame eversive sviscerando le peculiarit� dei diversi episodi, senza la pretesa di ricondurre tutto a un unico filo. Significative anche le sue considerazioni sul caso Moro, un delitto che, sulla scorta delle risultanze processuali, addebitava alla responsabilit� esclusiva delle Brigate rosse, criticando l’idea che qualcuno fosse stato in grado di dirigerle o comunque di manipolarne l’operato dall’esterno.

2 dicembre 2024 (modifica il 2 dicembre 2024 | 22:01)

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