Cancro al seno nelle donne giovani: qual è la dose di radioterapia migliore per prevenire le recidive?
Uno studio, su oltre 2mila pazienti controllate per più di 12 anni, mette in luce che l'attuale cura standard è ottimale e non serve intensificare il dosaggio

La dose standard di radioterapia prescritta alle pazienti giovani con un tumore al seno è quella corretta e aumentarla non servirebbe a ridurre in modo significativo i rischi di una recidiva, mentre aumenterebbe gli effetti collaterali indesiderati. È quanto emerge dai risultati di uno studio olandese presentato nei giorni scorsi a Milano durante la European Breast Cancer Conference.
«Boost»: la dose aggiuntiva standard
La ricerca Young boost trial ha coinvolto 2.421 pazienti con meno di 50 anni (età media di 45 anni) trattate in 32 centri di Olanda, Francia e Germania. Dopo la chirurgia per asportare il tumore e dopo la radioterapia sull’intera mammella, le pazienti sono state divise in due gruppi: una parte ha ricevuto il cosiddetto «boost», cioè la dose aggiuntiva standard di radioterapia (16 Gray in 8 applicazioni) e un’altra è stata sottoposta a un dosaggio intensificato (26 Gray in 13 applicazioni). La maggior parte delle pazienti è stata trattata anche con la chemioterapia.
«Le pazienti giovani con cancro al seno hanno generalmente prognosi peggiori delle pazienti più anziane e maggiori probabilità di una recidiva nello stesso sito dopo il trattamento chirurgico conservativo – ha spiegato Sophie Bosma, radioterapista del The Netherlands Cancer Center di Amsterdam e prima autrice della sperimentazione -. Volevamo capire se fosse possibile ridurre il rischio di ricaduta locale somministrando una dose aggiuntiva elevata di radiazioni».
Gli esiti della ricerca
Le partecipanti sono state monitorate circa 12 anni e durante questo periodo 109 hanno avuto una recidiva nello stesso seno: 61 (equivalente a un tasso di recidiva locale decennale del 4,4%) avevano ricevuto il consueto dosaggio boost di radioterapia, 48 invece erano state sottoposte al dosaggio intensificato (il 2,8%).
Tuttavia, il 48% delle pazienti trattate con alte dosi hanno anche dovuto affrontare una fibrosi al seno severa o moderata, rispetto al 27% delle donne curate con lo standard. «La radioterapia alla mammella può causare un indurimento del tessuto irradiato – chiarisce Icro Meattini, professore associato di Radioterapia e direttore della Breast Unit dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze -: la fibrosi è causata da un accumulo di tessuto cicatriziale e può essere molto fastidiosa, oltre che impattare a livello estetico».
«In entrambi i gruppi i tassi di recidiva locale sono stati molto bassi, migliori di quanto ci aspettassimo, e la differenza minima, per cui bisogna pesare bene il rischio di effetti collaterali come la fibrosi – ha commentato Bosma -. Il beneficio che si ottiene con una dose elevata di radiazioni non giustifica le conseguenze estetiche negative che possono derivarne».
Radioterapia per 7 malati di cancro su 10
Oggi un trattamento radioterapico viene prescritto circa al 70% dei malati di tumore, per moltissimi tipi di cancro diversi, da solo o associato ad altri trattamenti (chirurgia, chemioterapia, ormonoterapia, immunoterapia) e per raggiungere obiettivi differenti (dalla completa guarigione al controllo del dolore).
Le sedute di radioterapia sono un caposaldo nella cura del cancro al seno per la loro indubbia utilità nel ridurre il rischio sia di recidive locali (le radiazioni post intervento aiutano a «ripulire» meglio la zona interessata dal tumore) sia di metastasi a distanza. A fronte di indubbi vantaggi per le pazienti, gli specialisti soppesano però sempre anche i possibili svantaggi in termini di effetti collaterali (per lo più dolore e la comparsa di linfedema, il fastidioso gonfiore al braccio).
«Intensificare la terapia non è sempre la risposta giusta. Lo standard attuale nelle donne giovani con una diagnosi di carcinoma mammario ai primi stadi, visti gli esiti di questo studio, si conferma la strategia ottimale» conclude Meattini.