Trovano una brocca con mille monete d’oro dal valore di quattro milioni di euro. Il Consiglio di Stato: “A chi l’ha scoperto spetta il 25 per cento”
Il Consiglio di Stato ha ribaltato il giudizio del Tar sulla vicenda del “Tesoro di Como”. I giudici hanno stabilito che alla Officine Immobiliari, la società proprietaria dell’area in cui è stato rinvenuto, spetta una buona fetta del suo valore: un quarto in quanto proprietari e un quarto in quanto scopritori. Il valore dovrà essere stabilito ufficialmente, concordato tra le parti: secondo alcune stime si parla di un valore di 4 milioni, ma secondo altre potrebbe valere molto di più.
Tutto ha inizio il 29 gennaio 2016, quando Officine Immobiliari acquista da Nuova Beverà srl il compendio immobiliare dell’ex Teatro Cressoni. L’intento della società è ristrutturare i muri perimetrali e realizzare un complesso abitativo privato.
Così, due anni dopo, nell’ambito di questa riqualificazione, la società comincia a effettuare gli scavi. L’area, però, è "a rischio archeologico", così la proprietà coinvolge la Sovrintendenza per i beni archeologici della Lombardia per un parere preventivo. Il Ministero conferma la situazione e impone che "tutte le opere di scavo dovranno avvenire con controllo di operatore archeologico".
Durante gli scavi, infatti, vengono riportati alla luce numerosi reperti come mosaici, capitelli, epigrafi e persino scheletri. Ma il “tesoro” viene trovato il 5 settembre 2018, quando tra terra e pietre appare una brocca in pietra ollare del V secolo dopo Cristo. Al suo interno mille monete d’oro "degli imperatori Onorio, Valentiniano III, Leone Primo, Artemio e Lidio Severo", in perfette condizioni. Valore complessivo stimato, poco meno di 4 milioni di euro.
“Da questo momento in poi – spiega il dott. Saba Dell’Oca amministratore delegato di Officine Immobiliari srl – il comportamento della Soprintendenza meneghina, che fino ad allora era stato collaborativo, cambia. Diventa autoritario e ostile nei nostri confronti. Da parte nostra cerchiamo un dialogo con gli ispettori, ci proviamo in tutti i modi, ma senza riuscirci. Così decidiamo di procedere per vie legali”. Secondo il Ministero, infatti, alla società doveva spettare solo il 9,25% del valore, ma la proprietà del terreno si oppone. Officine Immobiliari si appella al Codice dei Beni culturali, il cui articolo 92, stabilisce in caso di ritrovamento di un reperto, il riconoscimento ai proprietari dell’immobile o agli scopritori fortuiti di un quarto del valore (o la metà se lo scopritore è anche concessionario dell’attività di ricerca). Il ricorso viene accolto dal Consiglio di Stato, stabilendo che a Officine Immobiliari spetti il 25%. Circa un milione di euro.
“La sentenza rappresenta un momento di definitiva chiarificazione del diritto al premio. - aggiunge Dell’Oca - Il Consiglio di Stato ha fatto giustizia di una burocrazia cieca e ottusamente sorda davanti alla giurisprudenza della Cassazione e anche riguardo ai principi sanciti dalla Costituzione. È stato inoltre duramente censurato l'atteggiamento autoritario dei funzionari, refrattari a priori dall'ascoltare le considerazioni e le idee del cittadino, pur avendone ricevuta la massima collaborazione economica e professionale. È dunque una sentenza storica. Nel caso del “tesoro di Como”, il Ministero ha pubblicamente e attraverso documenti, riconosciuto che la collaborazione è stata massima, estesa addirittura a studi di laboratorio successivi al ritrovamento”.
Secondo il collegio presieduto da Giancarlo Montedoro, "una volta correttamente esclusa la qualifica di concessionario, non può parimenti escludersi anche quella di scopritore". Come si legge nelle motivazioni, infatti, "riconosciuto che le attività di scavo erano state svolte direttamente dalla proprietaria, seppur attraverso la materiale esecuzione da parte di soggetti e macchinari incaricati, il conseguente ritrovamento non può che imputarsi direttamente alla stessa società, titolare del bene e delle attività in essere". Inoltre alla ricompensa non va applicata la ritenuta alla fonte a titolo di imposta (pari al 25%), poiché "non si tratta di un premio per una vincita rimessa alla sorte, ma di un ristoro per un’attività svolta nello stesso interesse pubblico". Il Consiglio di Stato ha inoltre stabilito che la controparte debba partecipare al procedimento sulla quantificazione del premio.