Final Fantasy VII Rebirth, la prova in anteprima del secondo atto dello storico videogioco

Era il 1997 quando Final Fantasy VII debuttò per la prima volta, e da quel momento in avanti il mondo dei Jrpg non sarebbe stato più lo stesso. Esiste un “prima” e un “dopo” Final Fantasy VII, perché proprio quel gioco – nonostante la sua grafica “a blocchi” e poco realistica – avrebbe riscritto il genere e, per certi versi, anche quella che era stata la storia dei videogiochi fino a quel momento. In ottica di preservazione di uno dei titoli immancabili nella collezione di qualsiasi giocatore, qualche anno fa Square Enix ha deciso di riportare in vita il suo più grande classico, ma non limitandosi ad una semplice operazione di remake: ricostituendo buona parte del team originale del 1997, tuttavia supportato da un nuovo gruppo di sviluppatori, la compagnia nipponica ha deciso di imbarcarsi in un progetto ambizioso, rivoluzionario, che – pur mantenendo intatto il Dna originale del gioco – lo avrebbe trasformato in un’opera in tre atti con alcune importanti novità rispetto al titolo di fine anni Novanta. 

Nel 2020 è stato così pubblicato il primo capitolo di questa trilogia, Final Fantasy VII: Remake (leggi la nostra recensione), un videogioco che, oltre a presentare una grafica decisamente più in linea con i prodotti contemporanei, ha ripensato molti aspetti legati al suo gameplay, prediligendo, ad esempio, un approccio più votato all’azione in tempo reale che al suo leggendario sistema a turni. Scelte che, come è facile intuire, sono state compiute per aggiornare l’esperienza al ventennio del Terzo Millennio e renderla più appetibile per il pubblico di oggi, ma che non sempre ha raccolto i favori dei videogiocatori della retroguardia. L’aspetto maggiormente criticato di Remake non è stato tanto il rivedere il sistema di gameplay, quanto la reinterpretazione di alcuni snodi narrativi cruciali del gioco del 1997, che in alcuni casi ne avrebbero stravolto il senso originale. 

In un mix di entusiasmo e timore, il prossimo 29 febbraio è attesa la seconda parte del progetto Final Fantasy VII, intitolata Final Fantasy VII: Rebirth, che abbiamo potuto provare in anteprima in un evento organizzato a Londra, scoprendo alcune interessanti novità. Inoltre, abbiamo potuto incontrare lo storico producer e autore della serie Final Fantasy Yoshinori Kitase e il game director Naoki Hamaguchi per approfondire insieme come è avvenuta la complessa lavorazione attorno a questo progetto temerario, soprattutto tenendo in considerazione cosa abbia significato Final Fantasy VII per il mondo dei videogiochi.

Nibelheim is on fire (again)

Final Fantasy VII: Rebirth inizia in medias res, partendo da un flashback del protagonista Cloud Strife e che ripercorre un incidente avvenuto cinque anni prima a Nibelheim – città natale di Cloud e della sua compagna di viaggio Tifa – e che ha dato il via all’ascesa del villain del gioco, Sephiroth (che i giocatori hanno già incontrato più volte in Final Fantasy: Remake). Non ci addentreremo nei meandri della trama per non incorrere in spoiler (dopotutto, non tutti hanno giocato al titolo del 1997), ma basti sapere che il primo capitolo di Rebirth si conferma piuttosto fedele al materiale originale, ma con il supporto di un motore grafico che lo rende nettamente più cinematografico rispetto al passato. Rispetto al gioco del 1997, qui i giocatori hanno la possibilità di esplorare Nibelheim e vivere più intensamente la cittadina, anche muovendosi nei panni di Sephiroth – il quale, a differenza del gioco originale, qui sarà completamente giocabile. Nel caso abbiate bisogno di rinfrescarvi la memoria prima di cominciare questo secondo atto, Rebirth presenta un filmato riassuntivo che ripercorre gli eventi principali del primo gioco. 

Final Fantasy VII Rebirth, la prova: tra vecchio e nuovo, nel rispetto del videogioco originale del 1997 

Grazie alle nuove tecnologie a disposizione per lo sviluppo di Rebirth, il team di Square Enix ha avuto l’opportunità di esplorare anche lati psicologici più profondi dei vari personaggi che animano questo secondo atto di Final Fantasy VII. Sia Sephiroth sia Cloud – i grandi motori narrativi di questo nuovo capitolo – vantano uno spessore diverso rispetto al passato, e proprio in merito a questo cambiamento cruciale, abbiamo chiesto a Yoshinori Kitase come hanno lavorato in Rebirth: «Nel 1997, come sai, avevamo importanti limiti tecnologici. I personaggi potevano essere realizzati con un massimo di 400 poligoni per ciascun modello, e questo li rendeva abbastanza squadrati. Avevano, in realtà, solo palline marroni per le mani e per la faccia. Ad esempio, con le espressioni del viso non potevamo fare praticamente nulla, al massimo potevano sbattere le palpebre. Di conseguenza, anche il modo in cui dovevamo esprimere dei pensieri, delle emozioni e, più in generale, ciò che provavano questi personaggi, doveva essere molto più esagerato. Era molto stile "cartoonesco", come un manga, in cui si enfatizzava eccessivamente tutto con grandi movimenti del corpo; ma questo perché all’epoca era l'unico modo per esprimere ciò che provavano questi ragazzi. Ora, gli strumenti a nostra disposizione per rappresentare quei personaggi e raccontare le cose sono molto più avanzati e abbiamo modelli di personaggi molto dettagliati e impressionanti, molto più realistici. Possiamo mostrare le loro espressioni facciali, il movimento delle labbra, eccetera. Abbiamo le voci che nell'originale non c’erano, abbiamo i doppiatori, che leggono delle battute e abbiamo finalmente un feedback emotivo da questi personaggi». 

Le stesse opportunità riguardano, ovviamente, anche le possibilità narrative offerte dalle nuove tecnologie di sviluppo. Continua Kitase: «La storia di base è praticamente la stessa del 1997, ma ciò che è cambiato è il modo in cui viene presentata ogni scena e cosa otterrai da quella scena. Potrebbero esserci molte più risposte emotive e cose che ovviamente non potevamo mostrare nell’originale o, ad esempio, un certo tipo di reazioni emotive. Ora possiamo davvero approfondire ciò che provano i personaggi in quel momento. In altre parole, questo cambierà il modo in cui ciascuna di queste sequenze verrà recepita dalla persona che la interpreta».

Rebirth, tra vecchio e nuovo nel rispetto dell’originale

Soprattutto a seguito del modo in cui si è concluso Final Fantasy VII: Remake, uno dei temi che destano maggiore preoccupazione in merito a Rebirth da parte dei fan di vecchia data è il trattamento che il team ha deciso di riservare nei confronti degli aspetti puramente narrativi. Tuttavia, sia in Remake sia in Rebirth, è stato rimesso insieme il team storico che ha lavorato al Final Fantasy VII originale, sintomo che c’era volontà da parte degli sviluppatori di preservare quella che era l’essenza del gioco del 1997. Al contempo, si è aggiunto anche un nuovo gruppo di lavoro che, tuttavia, a quel titolo ci ha giocato e lo ha amato all’epoca, al punto da pretendere che molti aspetti dell’originale resistessero al suo ammodernamento, come ci ha confermato lo stesso game director Naoki Hamaguchi: «La maggior parte del lavoro di sviluppo è stato probabilmente svolto soprattutto dai nuovi ragazzi, ma c'è stata una dinamica molto interessante nel momento in cui discutevamo e pianificavamo come affrontare il remake e così via. In realtà, ironia della sorte, il team di sviluppo originale di Final Fantasy VII era proprio quello che voleva cambiare molto di più le cose, volevano rendere alcune cose diverse». 

Final Fantasy VII Rebirth, la prova: tra vecchio e nuovo, nel rispetto del videogioco originale del 1997 

Eppure, il vecchio team ha dovuto scontrarsi con il nuovo gruppo di sviluppo, che, fan sfegatati dell’originale, non avrebbero mai permesso cambiamenti travolgenti. Continua Hamaguchi: «Tutte le persone [al lavoro sul gioco] che, come me hanno giocato all'originale Final Fantasy VII, hanno avuto molto rispetto nel dire [loro] di no. Doveva rimanere lo stesso gioco. Penso che funzioni molto bene, che ci sia un buon equilibrio tra nuovo e vecchio, e tutto funziona a dovere grazie a quelle due parti e a quei due approcci diversi. Abbiamo però effettuato alcuni cambiamenti in alcuni punti che mettono un po’ di dubbi su quello che sarà l’effettivo finale, come andranno a finire gli eventi, il giocatore forse non sa cosa succederà dopo. Il giocatore verrà messo costantemente sulle spine. Ci sembrava importante farlo, creare quel senso di sorpresa, perché alla fine è un gioco che ha una sua vita a sé».

Grassland, un nuovo mondo da esplorare

Non appena il giocatore conclude il primo capitolo di Final Fantasy VII: Rebirth, che offre un contesto narrativo ulteriore per progredire, con quello successivo i giocatori possono finalmente scoprire quelle che sono le grandi novità di questo secondo gioco. In primo luogo, Rebirth conta su massicce aree aperte in cui l’utente è invitato a esplorare tutti i suoi anfratti, a partire dalle Grassland, che rappresentano una boccata d’aria fresca (in tutti i sensi!) rispetto alle atmosfere cupe e inquinate di Midgar. Inutile dire che la vasta area (o meglio, le vaste aree) offrono ai giocatori molte opportunità di sperimentazione ed esplorazione, questo anche grazie alle diverse attività secondarie e ai tanti mini-giochi che costelleranno le singole sezioni della mappa. 

Poiché il mondo che gli utenti sono chiamati a scoprire è davvero sconfinato, i giocatori avranno a disposizione tanti nuovi mezzi di trasporto, a partire dai Chocobo (gli iconici e giganteschi pennuti della serie Final Fantasy) che potranno cavalcare. Le opportunità tecnologiche più moderne hanno permesso finalmente al team di dare vita a quel mondo senza soluzione di continuità, come lo avrebbero voluto già nel 1997. Proprio parlando di questa sorta di sogno che si realizza, Kitase ci ha raccontato: «Ci sono persone che hanno giocato al Final Fantasy VII originale e che non riescono a comprendere come fosse strutturato il mondo, come si unissero le varie aree tra loro. Ed è bello sapere che ora possano farlo, che possa per loro rappresentare anche un ulteriore elemento di sorpresa. Credo proprio che siamo riusciti in questo obiettivo. Apprezzo molto quel tipo di gameplay davvero dinamico fondato sull’esplorazione e come il mondo intero si unisca come un’unica area senza soluzione di continuità. Sono molto fiducioso, non vedo l’ora che le persone ci giochino e si divertano». 

Divertimento e libertà sono due capisaldi attorno cui ruota, dunque, il cuore del nuovo Final Fantasy VII: Rebirth, un aspetto che è stato confermato anche dal game director Hamaguchi: «[In Remake] la sensazione è che se fossi un po’ costretto [a fare una missione]. Eri trascinato dalla storia. In Rebirth hai sempre la possibilità di proseguire con la storia principale e puoi riprodurla esattamente come in Remake e seguire semplicemente la storia principale. Non devi assolutamente fare alcun contenuto secondario per forza, ma anche se lo fai, cambia proprio la dinamica perché hai la possibilità di scegliere di portare avanti la storia principale o fare qualcos’altro. Tutto dipende dalle tue azioni».

Final Fantasy VII Rebirth, la prova: tra vecchio e nuovo, nel rispetto del videogioco originale del 1997 
Sinergia è la parola chiave

Ultimo aspetto, ma non meno importante, è la dinamica sinergica che si instaura tra i diversi personaggi di questo Final Fantasy VII: Remake. Se è vero che nel primo gioco questo elemento è stato esplorato solo in parte – il motivo è principalmente legato al fatto che il party era ancora agli inizi della propria conoscenza e non aveva intessuto un legame (anche di amicizia) profondo che caratterizza questo secondo atto – in Rebirth diventa anche un aspetto strettamente legato al gameplay. Il gioco, infatti, introduce le Synergy Skills e Ability, per cui si intendono delle azioni combinate tra due personaggi, che permetteranno al giocatore di infliggere una notevole quantità di danno in combattimento. 

Nonostante ogni personaggio sia caratterizzato da proprie abilità e caratteristiche in combattimento, sarà divertente scoprire le possibili combinazioni tra i vari membri del party sul campo di battaglia e usarle in base al proprio stile di gioco. Questa parte, che abbiamo toccato appena durante la nostra prova, si rifletterà anche in alberi delle abilità specifici e sulle relazioni (positive e negative) che il giocatore nei panni di Cloud costruirà nel corso della storia. 

Anche gli stessi contenuti secondari e i mini-giochi sono stati costruiti affinché il giocatore abbia la possibilità di esplorare non solo le singole personalità dei vari personaggi, ma anche capire come queste si intrecciano tra loro all’interno della storia. Come ci ha raccontato Hamaguchi, in conclusione alla nostra intervista: «Vorrei aggiungere solo un’ultima cosa: se crei un gioco come questo con molti contenuti secondari opzionali con cui giocare, il problema è che, se i contenuti secondari non sono interessanti, non sono entusiasmanti, i giocatori li ignoreranno e giocheranno comunque alla storia principale. Non è un ottimo modo per farlo. Quindi diventa assolutamente indispensabile che tutti i contenuti collaterali siano davvero di alta qualità, che abbiano trame profonde, che contengano minigiochi unici a cui puoi giocare solo lì e creino diverse esperienze di gioco che si intrecciano alla trama principale. Quindi sì, poiché Rebirth è un gioco di Final Fantasy VII, le persone vogliono saperne di più su quel mondo e sui suoi personaggi. Accedendo a questo tipo di contenuti secondari, puoi scavare più a fondo e scoprire molto di più sui personaggi».

La rinascita di Final Fantasy VII è vicina

Le premesse che accompagnano il lancio di Final Fantasy VII Rebirth appaiono confortanti e, al tempo stesso, entusiasmanti. Se, come promesso, ci sarà grande rispetto nei confronti del materiale originale – quello stesso che nel 1997 ha permesso alla serie Final Fantasy di imprimersi per sempre nella storia dei videogiochi – i giocatori di vecchia data possono tirare un grande sospiro di sollievo. Al contempo, l’idea di Rebirth è quella di offrire un’esperienza innovativa e rinfrescante a tutti coloro che vi si approcceranno, che siano nuovi giocatori o altri che hanno già vissuto questa grandiosa avventura; l’elemento sorpresa, il cosiddetto “effetto wow”, non sembra proprio che mancherà. In attesa del prossimo 29 febbraio, giorno in cui il gioco approderà in esclusiva (temporale) su PlayStation 5, i giocatori possono già provare l’esperienza grazie ad una demo gratuita che è disponibile sul PlayStation Store. Può essere un buon modo per riuscire a farsi un’idea di quello che attenderà loro con questo nuovo attesissimo secondo atto di Final Fantasy VII.

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7 febbraio 2024