Juventus-Inter 1-1, Lautaro replica a Vlahovic: i nerazzurri restano al comando

TORINO – Niente sorpasso e ben poco spasso. Juve e Inter sono state uguali in quasi tutto, bloccate allo stesso modo, identiche nella dinamica dei gol e nella distribuzione del tempo, delle attese, delle illusioni e delle pressoché nulle palpitazioni, e ovviamente del risultato. Solo il possesso palla lo stravincono i nerazzurri, ma se poi non concretizzi è come pestare acqua nel mortaio: il tempo, così, si conta e non si pesa, semplicemente scorre. Le primarie allo Stadium non esprimono il presidente: ancora non si capisce chi vincerà lo scudetto, e neppure chi lo perderà.

«La cronaca della gara»
La classica per definizione del calcio italiano è stata una partita brutta e noiosa. La sfida si è animata solo in occasione dei gol, azioni in fotocopia per l’estro degli attaccanti più attesi, il morigerato Vlahovic (era a secco da 71 giorni) e il munifico Lautaro. Li hanno assistiti Chiesa e Thuram, e pure questo era un copione prevedibile. Sono stati gli unici due momenti di calcio rapido e verticale, a cavallo del primo tempo, mentre tutto il resto della partita ha vissuto ossessioni orizzontali, un ricamo al tombolo. Juve e Inter si sono dilettate in un estenuante taglia e cuci, per ritrovarsi con la stessa classifica che avevano prima di infilare il filo nell’ago.

Nella Juve che ha cominciato senza il play Locatelli, Allegri ha promosso il giovane Nicolussi Caviglia da Aosta come regista inedito, con appena due minuti di campionato alle spalle. Il ragazzo ha fatto quello che ha potuto, poi è tornato il titolare, ma nessun disegno è cambiato nella realizzazione del progetto. Le vite parallele di Juventus e Inter hanno prodotto più elisioni che azioni. L’equilibrio poteva essere spostato dal suo asse soltanto da errori o prodezze. E difatti un grossolano sbaglio nello stop da parte di Dumfries ha lanciato Chiesa e Vlahovic verso il pallone del vantaggio, e lì sembrava che finalmente la scossa potesse produrre un buon livello di elettricità costante. In effetti, l’Inter si è subito caricata di elettroni vorticosi, quando Barella ha innescato Thuram per il pezzo migliore del repertorio del francese, e cioè lo scatto bruciante con assistenza tecnica all’infallibile Lautaro: un gol come uno schiaffo di vento, pareggio arioso che però ha chiuso tutte le correnti anziché spalancarle.

Da lì in avanti (e si era soltanto al 33’) i duellanti hanno ripreso a studiarsi e controllarsi. Sembrava quasi una finale, ma di quelle brutte. Le mezzelune di passaggi tra difesa e centrocampo hanno tritato ben poco prezzemolo, per non di dire di aglio e peperoncino. Davvero nessuna spezia è stata cosparsa o sminuzzata nel brodino, mentre l’Italia intera si aspettava una cena sontuosa con parecchie portate. L’unica nota pepata sono stati gli ululati contro il reprobo Cuadrado, perché tutto possono accettare gli juventini fuorché un ex con addosso quella maglia lì. Non sapendo più come rianimare le proprie squadre, Allegri e Inzaghi nel finale hanno cambiato tre punte su quattro, addirittura due su due il bianconero, mettendo Milik e Kean, ma niente è cambiato. Quando ci si assomiglia troppo, alla lunga ci si annoia. Succede in amore, figurarsi sul campo di pallone.