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Consiglio europeo a Bruxelles, le ultime notizie sulle nomine Ue in diretta | L'arrivo dei leader previsto alle 12.30
(Luca Angelini) «La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti, dove una parte decide per tutti. Una conventio ad excludendum che a nome del governo italiano ho contestato e non intendo condividere». (Giorgia Meloni)
«Con voi al governo si rischia l’isolamento del Paese» (Elly Schlein)
«Non si può prescindere dall’Italia» (Sergio Mattarella)
Nel suo doppio passaggio in Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo che dovrà dare il primo via libera all’intesa sulle nomine per i «top jobs» dell’Ue (Ursula von der Leyen di nuovo presidente della Commissione, il socialista portoghese António Costa leader del Consiglio Ue e la premier estone Kaja Kallas Alto rappresentante per la politica estera), la premier Giorgia Meloni ha detto tutto il male che pensa di un accordo raggiunto senza coinvolgere l’Italia e senza, a suo dire, tener conto del risultato elettorale.
«Nessun autentico democratico che creda nella sovranità popolare può in cuor suo ritenere accettabile che in Europa si tentasse di trattare sugli incarichi di vertice ancora prima che si andasse alle urne. E poi ci si stupisce dell’astensionismo...». Le conseguenze, secondo Meloni, non mancheranno: «L’errore che si sta per compiere con l’imposizione di questa logica» nelle nomine ai ruoli apicali Ue, «con una maggioranza tra l’altro fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura», «è un errore importante non per la sottoscritta oppure per il centrodestra, neanche solo per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte o che la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose».
Con toni e accenti vari, le opposizioni le hanno rinfacciato di essersi cercata l’isolamento, per la vicinanza a Órban e alle destre sovraniste. Poi, durante il tradizionale pranzo al Quirinale con la premier e i ministri che precede il Consiglio Ue, Sergio Mattarella ha mandato quello che Monica Guerzoni chiama un «avviso ai naviganti»: «Non si può prescindere dall’Italia». Il quirinalista Marzio Breda traduce così: «La sua speranza (di Mattarella, ndr) è che tra Roma e Bruxelles si riesca a trovare un buon compromesso sulla nuova governance della Ue. E il punto di caduta va cercato, e trovato, negoziando fino all’ultimo. In modo che nessuno possa sentirsi escluso o decida di autoescludersi, magari con qualche strappo imprevisto o attraverso l’astensione al momento del voto».
Ma, adesso, dopo lo sfogo in Parlamento, cosa farà la premier alla «cena della verità» di stasera a Bruxelles, dove per approvare l’intesa serve il sì di 20 Paesi, che valgano almeno il 65% della popolazione totale Ue? Secondo Marco Galluzzo, di preciso nessuno lo sa: «Ovviamente molto dipenderà da eventuali tentativi di inclusione che verranno fatti dai suoi colleghi, e molto dipenderà dal suo fiuto politico». Ma che l’aria sia di burrasca, è indubbio. Per questo « in pochi scommettono su un via libera di Giorgia Meloni alle nomine delle cariche di vertice della Ue. Con una metafora calcistica c’è anche chi dice che al momento si tratta di un 1-X-2, e che la presidente del Consiglio deciderà sul momento. Ma il clima che si respira nella delegazione italiana che sarà presente stasera al summit è quello del pollice verso: Meloni potrebbe astenersi, come fece la Merkel cinque anni fa nei confronti di von der Leyen, ma potrebbe anche votare no contro il pacchetto di nomine già confezionato dalle tre famiglie politiche che compongono la maggioranza, come fecero l’ungherese Orbán e il britannico Cameron nel 2014, al momento di designare Jean Claude Juncker. Circola persino una terza, o quarta, via: Meloni potrebbe chiedere il voto su ogni singola carica, e arrivare in questo modo ad una decisione differenziata, sì ad Ursula von der Leyen, no agli altri candidati».
Scrive Massimo Franco, nella sua Nota, che «è difficile non pensare che Palazzo Chigi sia vittima della propria narrazione post-elettorale. Avere evocato un’Italia “determinante in Europa” ora si ritorce contro la maggioranza di destra». Perché, anche se le manovre non sono chiuse e anche se una «torsione a destra dell’elettorato» c’è stata, «in parallelo ha tenuto e guadagnato il Ppe, al punto da poter mettere insieme una maggioranza, compatta sebbene fragile, con socialisti e liberali». Non solo, ma «le destre appaiono divise: in primo luogo sulla politica estera, che significa conflitto della Russia contro l’Ucraina e rapporti con la Nato». Tanto che, a mettere in fila le dichiarazioni di Matteo Salvini e dei suoi, si intuisce che «gli alleati italiani di Le Pen si preparano a bersagliare Meloni, se alla fine puntellerà coi suoi voti la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen».
Ad avviso di Franco, già «la scelta di additare gli “oligarchi” dell’Ue come registi di un accordo sulle cariche di vertice come una disdetta della volontà popolare emersa l’8 e 9 giugno scorsi appare scivolosa». Ma «il problema si acuirebbe se Meloni si sentisse spinta ad avallare una linea conflittuale: cosa che ha evitato saggiamente in quasi due anni a Palazzo Chigi. Con una procedura di infrazione contro l’Italia per eccesso di deficit, e dunque con l’esigenza di negoziare margini di flessibilità e evitare manovre correttive pesanti, sarebbe una sfida piena di incognite».
Intervistato da Francesca Basso, il leader del Partito popolare europeo, Manfred Weber, dice che l’intesa sui «top jobs» «si basa sul risultato delle urne: gli elettori hanno dato un chiaro mandato di guida al Ppe. Ma si doveva trovare un’intesa tra tutti i maggiori partiti europei per dare stabilità all’Europa e ci siamo riusciti».
Quanto all’Italia, «è il terzo Paese più grande d’Europa, un membro del G7, una delle più grandi economie europee. Per questo è necessario trovare un modo per includere la posizione italiana nel processo decisionale europeo. (...) Questo negoziato tra i gruppi non è una sorpresa, fu così anche nel 2019 e negli anni precedenti perché i tre principali partiti in Europa hanno l’obbligo di formare un’intesa comune sulla strada da seguire. Tuttavia, sono d’accordo con quanto ha detto il presidente Mattarella: nell’Ue non si può prescindere dall’Italia». Weber, però, aggiunge che l’Ecr, il gruppo conservatore europeo presieduto da Meloni, «ha diverse facce. C’è il PiS (il partito di Jaroslaw Kaczynski, ndr) che in Polonia ha superato le nostre linee rosse. Sono felice che Donald Tusk sia primo ministro: ha riportato la Polonia in Europa. L’altra faccia è quella di Giorgia Meloni e Petr Fiala in Repubblica Ceca, sono politici ragionevoli. (...) Non lavoreremo con partiti che non sono a favore dell’Europa, dell’Ucraina e dello Stato di diritto: no all’Id e a Le Pen in Francia. Ma se i partiti rispettano questi principi, da un punto di vista democratico sono partner ragionevoli e se troviamo soluzioni sui contenuti, lavoreremo insieme».
Weber manda, però, un messaggio anche alla segretaria dem: «Voglio sentire dalla leader del Pd Elly Schlein che si impegna pubblicamente a sostenere von der Leyen. Se non lo fa, si schiera con Orbán. Abbiamo bisogno che i leader si facciano avanti: Scholz, Sánchez, Schlein devono esprimersi pubblicamente e dare una direzione chiara alle loro delegazioni. Il Ppe sostiene Costa e Kallas, Socialisti&Democratici e Renew (liberali e macroniani, ndr) facciano la loro parte».
Questo articolo è stato pubblicato sulla newsletter Il punto del Corriere della Sera. Ci si iscrive qui
«Con voi al governo si rischia l’isolamento del Paese» (Elly Schlein)
«Non si può prescindere dall’Italia» (Sergio Mattarella)
Nel suo doppio passaggio in Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo che dovrà dare il primo via libera all’intesa sulle nomine per i «top jobs» dell’Ue (Ursula von der Leyen di nuovo presidente della Commissione, il socialista portoghese António Costa leader del Consiglio Ue e la premier estone Kaja Kallas Alto rappresentante per la politica estera), la premier Giorgia Meloni ha detto tutto il male che pensa di un accordo raggiunto senza coinvolgere l’Italia e senza, a suo dire, tener conto del risultato elettorale.
«Nessun autentico democratico che creda nella sovranità popolare può in cuor suo ritenere accettabile che in Europa si tentasse di trattare sugli incarichi di vertice ancora prima che si andasse alle urne. E poi ci si stupisce dell’astensionismo...». Le conseguenze, secondo Meloni, non mancheranno: «L’errore che si sta per compiere con l’imposizione di questa logica» nelle nomine ai ruoli apicali Ue, «con una maggioranza tra l’altro fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura», «è un errore importante non per la sottoscritta oppure per il centrodestra, neanche solo per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte o che la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose».
Con toni e accenti vari, le opposizioni le hanno rinfacciato di essersi cercata l’isolamento, per la vicinanza a Órban e alle destre sovraniste. Poi, durante il tradizionale pranzo al Quirinale con la premier e i ministri che precede il Consiglio Ue, Sergio Mattarella ha mandato quello che Monica Guerzoni chiama un «avviso ai naviganti»: «Non si può prescindere dall’Italia». Il quirinalista Marzio Breda traduce così: «La sua speranza (di Mattarella, ndr) è che tra Roma e Bruxelles si riesca a trovare un buon compromesso sulla nuova governance della Ue. E il punto di caduta va cercato, e trovato, negoziando fino all’ultimo. In modo che nessuno possa sentirsi escluso o decida di autoescludersi, magari con qualche strappo imprevisto o attraverso l’astensione al momento del voto».
Ma, adesso, dopo lo sfogo in Parlamento, cosa farà la premier alla «cena della verità» di stasera a Bruxelles, dove per approvare l’intesa serve il sì di 20 Paesi, che valgano almeno il 65% della popolazione totale Ue? Secondo Marco Galluzzo, di preciso nessuno lo sa: «Ovviamente molto dipenderà da eventuali tentativi di inclusione che verranno fatti dai suoi colleghi, e molto dipenderà dal suo fiuto politico». Ma che l’aria sia di burrasca, è indubbio. Per questo « in pochi scommettono su un via libera di Giorgia Meloni alle nomine delle cariche di vertice della Ue. Con una metafora calcistica c’è anche chi dice che al momento si tratta di un 1-X-2, e che la presidente del Consiglio deciderà sul momento. Ma il clima che si respira nella delegazione italiana che sarà presente stasera al summit è quello del pollice verso: Meloni potrebbe astenersi, come fece la Merkel cinque anni fa nei confronti di von der Leyen, ma potrebbe anche votare no contro il pacchetto di nomine già confezionato dalle tre famiglie politiche che compongono la maggioranza, come fecero l’ungherese Orbán e il britannico Cameron nel 2014, al momento di designare Jean Claude Juncker. Circola persino una terza, o quarta, via: Meloni potrebbe chiedere il voto su ogni singola carica, e arrivare in questo modo ad una decisione differenziata, sì ad Ursula von der Leyen, no agli altri candidati».
Scrive Massimo Franco, nella sua Nota, che «è difficile non pensare che Palazzo Chigi sia vittima della propria narrazione post-elettorale. Avere evocato un’Italia “determinante in Europa” ora si ritorce contro la maggioranza di destra». Perché, anche se le manovre non sono chiuse e anche se una «torsione a destra dell’elettorato» c’è stata, «in parallelo ha tenuto e guadagnato il Ppe, al punto da poter mettere insieme una maggioranza, compatta sebbene fragile, con socialisti e liberali». Non solo, ma «le destre appaiono divise: in primo luogo sulla politica estera, che significa conflitto della Russia contro l’Ucraina e rapporti con la Nato». Tanto che, a mettere in fila le dichiarazioni di Matteo Salvini e dei suoi, si intuisce che «gli alleati italiani di Le Pen si preparano a bersagliare Meloni, se alla fine puntellerà coi suoi voti la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen».
Ad avviso di Franco, già «la scelta di additare gli “oligarchi” dell’Ue come registi di un accordo sulle cariche di vertice come una disdetta della volontà popolare emersa l’8 e 9 giugno scorsi appare scivolosa». Ma «il problema si acuirebbe se Meloni si sentisse spinta ad avallare una linea conflittuale: cosa che ha evitato saggiamente in quasi due anni a Palazzo Chigi. Con una procedura di infrazione contro l’Italia per eccesso di deficit, e dunque con l’esigenza di negoziare margini di flessibilità e evitare manovre correttive pesanti, sarebbe una sfida piena di incognite».
Intervistato da Francesca Basso, il leader del Partito popolare europeo, Manfred Weber, dice che l’intesa sui «top jobs» «si basa sul risultato delle urne: gli elettori hanno dato un chiaro mandato di guida al Ppe. Ma si doveva trovare un’intesa tra tutti i maggiori partiti europei per dare stabilità all’Europa e ci siamo riusciti».
Quanto all’Italia, «è il terzo Paese più grande d’Europa, un membro del G7, una delle più grandi economie europee. Per questo è necessario trovare un modo per includere la posizione italiana nel processo decisionale europeo. (...) Questo negoziato tra i gruppi non è una sorpresa, fu così anche nel 2019 e negli anni precedenti perché i tre principali partiti in Europa hanno l’obbligo di formare un’intesa comune sulla strada da seguire. Tuttavia, sono d’accordo con quanto ha detto il presidente Mattarella: nell’Ue non si può prescindere dall’Italia». Weber, però, aggiunge che l’Ecr, il gruppo conservatore europeo presieduto da Meloni, «ha diverse facce. C’è il PiS (il partito di Jaroslaw Kaczynski, ndr) che in Polonia ha superato le nostre linee rosse. Sono felice che Donald Tusk sia primo ministro: ha riportato la Polonia in Europa. L’altra faccia è quella di Giorgia Meloni e Petr Fiala in Repubblica Ceca, sono politici ragionevoli. (...) Non lavoreremo con partiti che non sono a favore dell’Europa, dell’Ucraina e dello Stato di diritto: no all’Id e a Le Pen in Francia. Ma se i partiti rispettano questi principi, da un punto di vista democratico sono partner ragionevoli e se troviamo soluzioni sui contenuti, lavoreremo insieme».
Weber manda, però, un messaggio anche alla segretaria dem: «Voglio sentire dalla leader del Pd Elly Schlein che si impegna pubblicamente a sostenere von der Leyen. Se non lo fa, si schiera con Orbán. Abbiamo bisogno che i leader si facciano avanti: Scholz, Sánchez, Schlein devono esprimersi pubblicamente e dare una direzione chiara alle loro delegazioni. Il Ppe sostiene Costa e Kallas, Socialisti&Democratici e Renew (liberali e macroniani, ndr) facciano la loro parte».
Questo articolo è stato pubblicato sulla newsletter Il punto del Corriere della Sera. Ci si iscrive qui