Cosa c'è nel Project 2025, il«programma» con cui la destra vuole«rifare gli Usa»
Giustizia e funzionari controllati, frontiere chiuse I pilastri della «rivoluzione» ultraconservatrice
Decapitazione della macchina amministrativa federale sostituendo fino a 50 mila dirigenti con personale selezionato in base alla fedeltà al nuovo presidente e all’impegno ad attuare un’agenda politica conservatrice. Giustizia e Fbi alle dipendenze dirette del presidente degli Stati Uniti. Uso dell’esercito per individuare ed espellere milioni di clandestini che vivono da anni in America. Fine delle politiche per il contrasto dei mutamenti climatici e cancellazione della Noaa, l’agenzia di monitoraggio dell’atmosfera, definita «motore dell’industria dell’allarme ambientale». Sono alcuni dei punti-chiave del «Project 2025»: il piano di governo per un futuro presidente conservatore pubblicato dalla Heritage Foundation, il maggiore think tank della destra, ora su posizioni radicali trumpiane.
Un lavoro durato due anni, condotto con altre 110 organizzazioni della destra americana, sfociato in un documento di 922 pagine. «Seconda rivoluzione» Quando ha completato la sua stesura col contributo di almeno 12 esponenti del primo governo Trump, il presidente della Heritage, Kevin Roberts, si è esposto molto sui media (la Heritage, sponsor principale della convention repubblicana, accoglie il popolo conservatore fin dall’aeroporto di Milwaukee, tappezzato dai suoi messaggi di benvenuto).
Nelle scorse settimane Roberts ha annunciato addirittura un’imminente «seconda rivoluzione americana»: una rivoluzione conservatrice che «sarà senza spargimento di sangue se la sinistra la accetterà». Risultato: i democratici hanno visto nel «Project 2025» uno strumento provvidenziale da usare in campagna elettorale come prova della volontà di Donald Trump di imporre all’America una svolta autoritaria («è un dono politico caduto dal cielo», ha detto Dan Pfeiffer, che fu direttore della comunicazione nella Casa Bianca di Obama).
Mentre Trump, consapevole del rischio e irritato dal protagonismo di Roberts, ha preso le distanze: «Non li conosco, non condivido alcune delle loro idee». Spiegazione di un anonimo funzionario della sua campagna: «Non ha senso diffondere adesso idee e piani che possono spaventare molti elettori». L’attentato di sabato a Trump, oltre ad aver riportato tutta l’attenzione sul leader sfuggito al martirio, ha messo la sordina alla Heritage che aveva organizzato lunedì, primo giorno della convention, una sontuosa Policy Fest. Evento nel quale un Roberts più prudente ha evitato di parlare di rivoluzioni potenzialmente sanguinose, riconoscendo che spetterà a Trump, se eletto, decidere cosa usare del piano.
Se ne riparlerà dopo il voto del 5 novembre: nel 2016 Trump si lamentò perché i think tank non gli avevano preparato una classe dirigente allineata alle sue idee da portare al governo. Stavolta il lavoro è stato fatto, e con il contributo di molti trumpiani, da Russ Vought che fu suo ministro del Bilancio al fidato consigliere Stephen Miller. Vediamo i punti principali.
Giorno Uno Day One. Si parte dall’assunto che l’America è oppressa da un Administrative State che va smantellato. Come? Negli Usa lo spoil system consente al nuovo presidente di sostituire tremila figure apicali (ministri, ambasciatori e altro) mentre i dirigenti amministrativi sono tutelati dalla legge. Ma nell’ottobre 2020, pochi giorni prima delle presidenziali, Trump firmò un ordine esecutivo chiamato «Schedule F» che, nelle sue intenzioni, gli avrebbe consentito di licenziare e sostituire decine di migliaia di dirigenti: tutti quelli le cui funzioni hanno una qualche rilevanza politica. L’ordine, forse illegale, fu poi cancellato da Biden. «Project 2025» ripristina «Schedule F» e la Heritage ha iniziato a selezionare migliaia di aspiranti dirigenti di una futura amministrazione pronti a giurare fedeltà al presidente, prima che alla Costituzione.
Sul sito del progetto ci sono i moduli di adesione per chi si vuole candidare, mentre Paul Dans, direttore del progetto, promette: «Creeremo un esercito di conservatori esaminati, allineati, addestrati, per smantellare il vecchio sistema fin dal primo giorno. Condivide J.D. Vance, candidato vicepresidente: sostituzioni di massa con our people, i nostri». Trump, come detto, prende le distanze, ma conferma la volontà di ripristinare «Schedule F».
Culture wars. Infondere nazionalismo cristiano ovunque possibile con l’attività amministrativa. Incoraggiare matrimonio, maternità, la famiglia tradizionale. Ridurre i benefici per la comunità Lgbtq, ad esempio nella sanità. Ridimensionare e poi smantellare il ministero della Pubblica istruzione. Un crimine spedire pillole abortive.
Giustizia. Controllo diretto del presidente su un ministero fin qui tradizionalmente autonomo. Supervisione della Casa Bianca anche sull’Fbi e le altre agenzie che svolgono indagini e assicurano l’ordine pubblico: fine dell’indipendenza.
Immigrazione. Il muro di Trump per provare a blindare la frontiera con il Messico. Campi di detenzione per i nuovi arrivati, famiglie e bimbi compresi. Caccia a milioni di clandestini che vivono negli Usa condotta dall’esercito e loro espulsione.
Indipendentemente dalla reale attuazione di queste misure, «non c’è dubbio che Project 2025 è il manifesto del movimento trumpista» conclude William Galston, direttore degli studi sulla governance della Brookings Institution, il più autorevole centro di ricerche politiche di Washington. Mentre per il politologo di Eurasia Ian Bremmer ci sono vincoli legali (ai licenziamenti dei funzionari pubblici) e costituzionali (l’uso dell’esercito per attività interne di polizia) che limiteranno l’attuazione di alcune parti del «Project», «ma quello che sopravviverà, unito alle sentenze della Corte suprema che concedono al presidente l’immunità totale per gli atti pubblici e limitano i poteri delle agenzie governative, può cambiare in profondità l’assetto istituzionale della democrazia americana».