I raid americani non piegano gli Houti: Navi Ue nel Mar Rosso per proteggere i cargo

La missione navale europea nel Mar Rosso si prepara a salpare. Le pressioni di Italia, Francia e Germania hanno superato le resistenze spagnole: «C’è un accordo di principio – ha detto l’Alto rappresentante Josep Borrell -. Nessuno si è opposto anche se alcuni Paesi non parteciperanno. Ora dobbiamo lavorare per l’unanimità». «Impedire il passaggio dei prodotti significa un aumento dei prezzi spropositato – ha sottolineato Giorgia Meloni -. Quindi non possiamo accettare la minaccia che proviene dagli Houti. L’Italia ha sempre sostenuto la libertà di navigazione».

La soluzione sul tavolo appare un compromesso, destinato a mostrare la bandiera più che a intimidire gli Houti. Tempi e composizione della squadra devono essere ancora definiti: Parigi e Roma spingono perché sia dotata di almeno cinque navi da guerra, tra cui un caccia, mentre finora c’è consenso solo su tre unità.

La nostra Marina dovrebbe comunque mantenere un presidio di due fregate, lasciandone una nel dispositivo dell’operazione antipirateria Atalanta che agisce nelle stesse acque per prevenire le razzie dei predoni somali. La premier ha escluso che la nuova missione europea debba essere ratificata dal Parlamento, passaggio ritenuto invece necessario dal capogruppo del Pd in Commissione Esteri, Alessandro Alfieri.

Le regole di ingaggio saranno difensive: scortare i mercantili e tutelarli dagli assalti, mettendoli sotto lo schermo delle batterie anti-aeree. Sono categoricamente escluse azioni a terra, neppure per eliminare le rampe da cui partano ordigni contro le forze europee: soltanto una risoluzione Onu renderebbe possibile una forma “dinamica” di protezione che non si limiti a fare scudo ai cargo commerciali.

Ci sono anche problemi tecnici. Nessuna nave militare europea ha ancora sistemi per fronteggiare i missili balistici, già utilizzati dagli Houti in diverse occasioni: riescono ad abbattere droni, cruise e tradizionali ordigni antinave, ma la reale possibilità di intercettare missili balistici – che piombano sui bersagli ad altissima velocità - deve essere ancora testata.

Per questo compito sarà necessaria una copertura radar del territorio yemenita che avvisti immediatamente il lancio dei missili e quindi l’impiego di aerei da ricognizione elettronica o uno stretto coordinamento con lo schieramento dell’Us Navy. Un punto particolarmente delicato, visto che tutti i Paesi europei – ma soprattutto Germania e Spagna – vogliono tenere distinta l’attività europea da quella della flotta Usa, impegnata in una serie di bombardamenti sullo Yemen.

L’offensiva del Pentagono non sta rallentando le aggressioni degli Houti: ieri hanno detto di avere preso di mira un cargo – la Ocean Jazz – noleggiato in passato per trasferire materiale militare americano. Il movimento fondamentalista ha ribadito che continuerà a colpire navi legate a Israele, agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Allo stesso tempo, alcuni esponenti di punta hanno diffuso segnali diplomatici: non ci saranno iniziative contro Arabia Saudita ed Emirati, rispettando la tregua del 2022, e non verranno attaccati mercantili russi e cinesi. Un chiaro tentativo di cercare sponde per isolare Washington e Londra.

In piena campagna elettorale, la questione sta diventando un problema per la Casa Bianca. Né il massiccio raid con oltre cento missili e venti jet, né le sei successive incursioni degli F-18 Hornet decollati dalla portaerei Eisenhower sulle postazioni di lancio hanno intimidito i fondamentalisti yemeniti. Ieri il comandante della V Flotta, il contrammiraglio Brad Cooper, ha dichiarato che «l’Iran è direttamente coinvolto nelle aggressioni dei miliziani: li sostiene, li finanzia, li equipaggia e li addestra».

E ha sottolineato: «Le azioni degli Houti, per effetto dei loro attacchi contro il traffico mercantile sono le più significative che abbiamo visto nell’arco di due generazioni». Le ha definite peggiori della “guerra delle petroliere” degli anni Ottanta, culminata nel 1988 in una battaglia in cui gli Usa affondarono cinque navi iraniane e occuparono due piattaforme trasformate in fortini dei pasdaran.

Le parole del contrammiraglio fanno capire quanto la sfida dello Yemen stia diventando calda per il Pentagono, dove vengono adesso discusse anche ipotesi di un intervento sul terreno o l’eventualità di alzare il tiro sulla leadership Houti. La preoccupazione è che i guerriglieri yemeniti siano imitati da altre formazioni sciite, come quelle irachene e siriane che hanno già colpito 142 volte le installazioni americane: sabato ben 17 missili si sono abbattuti sull’aeroporto di al-Asad. Ogni mossa della Casa Bianca però deve fare i conti con il rischio di innescare un’escalation in Medio Oriente e con le caratteristiche dei guerriglieri islamisti, che hanno dimostrato nel conflitto con sauditi ed emiratini di combattere come se non avessero nulla da perdere, senza curarsi dei danni subiti dal Paese e dalla popolazione.