È come un grande continente, instabile, su cui pare sempre incombere la tempesta. L’ultima, fragorosa, si è abbattuta quando il killer travestito da runner ha premuto il grilletto eliminando dalla scena Fabrizio Piscitelli. Era il 7 agosto 2019 e Diabolik, il narcos più potente di Roma veniva messo a tacere con un colpo dietro alla nuca, in pieno giorno. Da quel giorno ci sono stati altri proiettili, sequestri, torture, fuochi d’artificio per festeggiare le partite di coca che fanno ricchi piccoli e grandi pesci delle piazze di spaccio.
Anni di lotte, più o meno sotterranee, e poi il nuovo ordine. Sempre instabile, ma per ora tenuto insieme dal collante dei soldi. Che tutto possono, anche calmare le teste più calde della Capitale. Ed è così che oggi si presenta la Roma del crimine.
Al suo interno la Città Eterna è divisa in tanti piccoli regni assetati di denaro, pronti a sparare quando c’è bisogno di alzare la voce. Sono le signorie della malavita locale, clan in grado di tenere sotto controllo un intero quartiere della Capitale. Anche più di uno, fino a governare aree popolose come una città delle dimensioni di Bologna o Firenze. In tutto se ne contano una quindicina.
Ma su tutti i domini del crimine uno ha la supremazia. È la camorra romana di Michele Senese. ‘O Pazzo è arrivato a Roma in piena guerra di camorra, a metà degli anni Ottanta, quando a Napoli il sangue scorreva a fiumi tra la Nco di Raffaele Cutolo e la famiglia di Carmine Alfieri. I Senese, legati a quest’ultimo, virarono sulla Città Eterna, gettando le fondamenta di un nuovo clan, diventato nel tempo egemone sull’intera Capitale. E anche adesso, ora che Senese è in carcere, il potere della sua famiglia non sembra essere tramontato.
Il suo clan controlla storicamente i quartieri a sud est della città, Tuscolano, Appio, Cinecittà e Casilino. Condivide la piazza di spaccio di San Basilio, la più grande d’Europa, con all’Ndrangheta. Ha messo una serissima ipoteca anche sull’altro supermarket della droga capitolina, Tor Bella Monaca, con Giuseppe Molisso, luogotenente di Michele Senese finito a sua volta in carcere.
Poco importa se siano dietro le sbarre. Riescono comunque ad essere predominanti. Per gli investigatori un motivo c’è. L’ipotesi è fondata: la Camorra romana, assieme alle altre storiche mafie, soprattutto la ’Ndrangheta, è la grande grossista di droga dell’Urbe. Insomma, gli altri clan le sarebbero subalterni, impossibilitati a rifornirsi direttamente alla fonte e costretti ad acquistare la cocaina passando dal grande crimine campano e calabrese per acquistarla in stock e poi rivenderla, questa l’unica libertà, nei territori di loro competenza. Nessuna delle signorie locali ha la forza e il know-how, in dote alle mafie tradizionali, per ribellarsi a questo schema.
A questa regola non si sottrae nemmeno ciò che rimane della storica Banda della Magliana. Il residuo dell’ultraromanzato vecchio gruppo di criminali — oggi si è saldato con una nuova gioventù sempre made in Rome — sino a 30 anni fa era padrone della città. Ora deve “accontentarsi” di una fetta a Sud — Ovest che abbraccia Corviale, Magliana, Trullo, San Paolo e che spinge i suoi tentacoli fino a Garbatella e Ostiense. Sull’Eur, invece, esercita la sua supremazia chi ha raccolto l’eredità dello storico cassiere della Banda, Enrico Nicoletti.
Ci sono, inoltre, le zone momentaneamente senza “re”. In riassesto. È il caso dei feudi su cui esercitavano il loro potere i due “Fabrizi”, Piscitelli, conosciuto come Daibolik, e Fabietti. Da soci comandavano rispettivamente le zone Flaminio-Parioli, i ricchi quartieri di Roma Nord, e Tiburtino-Collatino. Il primo ha pagato con la vita la sua ambizione di diventare l’imperatore della Roma criminale, il secondo è stato arrestato salvandosi, molto probabilmente, anche lui da un’imboscata. Adesso è in carcere.
Tuttavia, finire in galera, non segna per forza il declino, come insegna il caso dei Senese. Anzi. È anche vero che chi ha perso una guerra all’interno della malavita ne paga il prezzo. Ma coloro i quali hanno ben seminato lungo la strada della mala, formando luogotenenti affidabili o parenti capaci di sostituirsi al capofamiglia e garantendo il pagamento delle rette per chi è in carcere riesce a mantenere il controllo della sua zona anche se si trova in cella.
È il caso dei Bennato — Leandro è in galera — che su tutta Roma Ovest, Bravetta e Primavalle, Ottavia e Cassia esercitano un potere rilevante, ma non assoluto. Altre porzioni di questi quartieri sono sotto il controllo di altri gruppi. E sono quelle su cui hanno i loro interessi i Gambacurta (con zio Franco) e Walter Domizi (il Gattino) parente dei Bennato. Anche loro sono stati arrestati, ma si sospetta che continuano a lavorare in silenzio.
I Gambacurta, infatti, estendono la loro influenza anche su Trionfale e Boccea, in condivisione con un altro importante gruppo, quella degli Zioni. Dall’altra lato della città, ad Ovest, a La Rustica ci sono i Carlomosti, nonostante il “Bestione”, Daniele Carlomosti, sia stato condannato a 20 di reclusione.
Ci sono poi altri ex della Banda della Magliana, sempre in carcere, che hanno mantenuto un loro prestigio criminale. È il caso di Salvatore Nicitra che tiene sotto controllo le slot machine di Tomba di Nerone. Oppure Roberto Fittirillo che ha la sua base di spaccio al Tufello.
Infine c’è Ostia, l’appendice della Capitale che si affaccia sul mare. Per anni qui la malavita è cresciuta quasi indisturbata. Poi sui suoi affari si è abbattuta la mannaia della procura, che ha decapitato i clan dei Fasciani e degli Spada. Adesso il litorale è in mano a due potenti criminali, il Nasca, Roberto De Santis (arrestato a gennaio del 2022 dai carabinieri del nucleo investigativo di Ostia) e il suo socio Roberto Giordani, il Cappottone.
La fotografia è scattata. Ma, come detto, è destinata a mutare ancora. Questione di settimane. Forse di mesi o anni. Sicuramente di piombo, proiettili e sangue. I signori del crimine della Città Eterna conducono esistenze instabili. Sono irascibili, poco inclini al compromesso. Ed è questa la caratteristica della malavita capitolina, il tratto che la distingue da quella di Palermo o Reggio Calabria. Nessun accordo, nessun patto tra famiglie. La leadership all’ombra del Colosseo — e del Cupolone — è in continua discussione. Come a Napoli, dove la Camorra spara quando gli equilibri devono cambiare o sono appena mutati. È “la camorizzazione di Roma”, definizione tristemente azzeccata, coniata dal magistrato ed ex assessore alla Legalità del Campidoglio, Alfonso Sabella.
©RIPRODUZIONE RISERVATA