Così Patrushev, l’uomo ombra di Putin, ha ordinato la morte di Prigozhin. Con il via libera del Cremlino

La preparazione del piano sarebbe iniziata già all’indomani del fallito ammutinamento di Wagner: una bomba sul jet privato del capo dei rivoltosi, Evgenij Prigozhin.

Vladimir Putin avrebbe dato il via libera e Nikolaj Patrushev lo avrebbe portato a termine. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, sarebbe stato proprio l’influente capo del Consiglio di Sicurezza russo, nonché uno dei più stretti consiglieri del presidente, la mente della fine brutale del capo della oramai defunta compagnia militare privata.

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Chi è Nikolaj Patrushev

“L’uomo più temibile della Russia”, lo definì tempo fa l’esperto britannico Mark Galeotti. “Patrushev è un falco influente, di cui Putin si fida. È di fatto un consigliere per la sicurezza nazionale che condivide, modella e interpreta la visione del mondo di Putin”.

Un sodalizio che parte da lontano, il loro. I due condividono lo stesso anno di nascita, stessa città natale, stessi studi, stesso passato nel Kgb, ma soprattutto la stessa idea di un “mondo multipolare” e del posto che la Russia dovrebbe occupare in questo mondo. Oggi, scrive il Wall Street Journal, Patrushev è “la seconda persona più potente in Russia”.

La smentita del Cremlino

Che dietro alla morte di Prigozhin nello schianto del suo aereo il 26 agosto scorso ci fosse la longa manus di Putin lo avevano sospettato da subito in molti. Ora il giornale statunitense sostiene di averne trovato conferma da funzionari delle intelligence occidentali e da un ex ufficiale dell’intelligence russa. Il Cremlino smentisce. “Sfortunatamente – ha commentato il portavoce Dmitrij Peskov – il Wall Street Journal ultimamente si dedica molto alla produzione di storie pulp”.

Già lo scorso ottobre, intervenendo al Forum Valdai a Sochi, Putin aveva dato la sua versione dei fatti. Nei corpi delle vittime dello schianto aereo erano stati trovati “frammenti di granate”, aveva detto, senza fornire ulteriori dettagli su come una o più granate potessero essere state fatte esplodere a bordo, ma rammaricandosi del fatto che gli investigatori non avessero testato la presenza di alcol e droghe nei corpi delle dieci persone morte nello schianto. Una chiara allusione.

La minaccia Prigozhin

Nulla di più falso, secondo il Wall Street Journal. La verità è che Prigozhin era diventato troppo scomodo. Il ristoratore era capo di un impero milionario. Nel tempo il Cremlino gli aveva appaltato le sue operazioni di disinformazione nel mondo, generosi contratti con la Difesa e con i governi africani.

Ma, con il ruolo sempre più preponderante di Wagner in Ucraina, l’ex ristoratore aveva iniziato a vagheggiare sempre più potere spingendosi a lanciare invettive quotidiane contro il ministro della Difesa Sergej Shojgu e il capo di stato maggiore generale Valerij Gerasimov.

“Tutti dicevano a Putin che fosse un errore avere un esercito parallelo”, avrebbe detto un ex funzionario del Cremlino al Wall Street Journal. “Ma quando ogni giorno quest’esercito sputa in faccia alla leadership militare, hai un problema”.

La telefonata che Putin non tollerò

Patrushev avrebbe allertato Putin del pericolo già nell’estate dell’anno scorso, ma i suoi allarmi erano caduti nel vuoto fino all’ottobre 2022 quando Prigozhin avrebbe chiamato Putin lamentatosi malamente della mancanza di rifornimenti.

Alla telefonata, tra vari funzionari, era presente anche Patrushev che avrebbe colto la palla al balzo riuscendo finalmente a convincere il presidente che Prigozhin era diventato una minaccia perché non aveva più rispetto per la sua autorità.

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Da allora il Cremlino aveva lasciato cadere nel vuoto le chiamate di Prigozhin fino ad ordinare all’inizio dello scorso giugno che Wagner, come tutte le compagnie di volontari, si sottomettesse al ministero della Difesa russo.

Un affronto per Prigozhin che, il 23 giugno, per tutta risposta, aveva guidato quella che aveva chiamato “marcia della giustizia”, prima verso Rostov-sul-Don e poi verso Mosca, chiedendo la rimozione di Shojgu e Gerasimov.

Il “no” del Kazakhstan e l’accordo per la resa di Prigozhin

Putin non era a Mosca, scrive il Wall Street Journal, e fu Patrushev a gestire la crisi chiamando a raffica Prigozhin per convincerlo a desistere e chiedendo l’aiuto del Kazakhstan e della Bielorussia.

Al leader kazako Kassym Jomart Tokaev, Patrushev avrebbe chiesto di inviare truppe nell’ipotesi che l’esercito russo non fosse riuscito a respingere i mercenari. Ma Tokaev avrebbe rifiutato, benché fosse in debito perché l’anno prima la Russia aveva inviato i suoi uomini ad Astana dopo che erano scoppiate violente rivolte.

Il leader bielorusso Aleksandr Lukashenko avrebbe invece accettato di fare da mediatore, come ha poi pubblicamente rivendicato, fino a portare a termine l’accordo per la resa di Prigozhin e degli altri ribelli in cambio dell’esilio in Bielorussia.

In realtà il Cremlino aveva poi consentito a Prigozhin di continuare a viaggiare liberamente in Russia e in Africa. “Il piano di Putin era molto chiaro: tenere in vita il morto che cammina in modo da scoprire che cosa fosse successo”, ha detto Rolf Mowatt-Larssen, ex capo base della Cia, lasciando intendere che Mosca fosse a caccia dei complici di Prigozhin.

La bomba sull’ala

La preparazione dell’attentato dinamitardo si sarebbe conclusa a inizio agosto. Putin sarebbe stato messo a conoscenza del piano e non si sarebbe opposto, scrive il quotidiano statunitense citando agenzie di intelligence occidentali.

Il 26 agosto, dopo un viaggio in Africa, mentre Prigozhin aspettava che terminassero i controlli di sicurezza sul suo Embraer Legacy 600 all’aeroporto di Mosca, un piccolo ordigno sarebbe stato piazzato sotto un’ala.

Ottenuto il via libera al decollo, il jet riuscì a volare circa mezz’ora fino a raggiungere quota 28mila piedi prima che l’ala esplodesse facendolo precipitare nei pressi del villaggio di Kuzhenkino. A bordo c’erano 10 persone, Prigozhin compreso. La vendetta era consumata.

Alcune ore dopo lo schianto, un funzionario d’intelligence europeo aveva chiamato il suo contatto al Cremlino chiedendo che cosa fosse successo. Il russo – scrive il Wsj – avrebbe risposto senza esitazione: “Doveva essere rimosso”.