Chituru Ali alle Olimpiadi di Parigi 2024:«Giocavo a calcio. Ora imparo da Jacobs e mi piace Sgarbi»

diGaia Piccardi, inviata a Parigi 

Lo sprinter azzurro alla prima esperienza ai Giochi è pronto a dare battaglia anche al connazionale: «Sono nuovo a questi livelli, ma voglio tutto. Fidanzata infuencer? No, logopedista. Capisce il mio stile di vita»

L’ultimo post su Instagram è un tazebao: «Divertiti, e non trovare scuse». Il nuovo Chituru Ali, rigenerato dall’argento nei 100 dietro Marcell Jacobs all’Europeo di Roma, è la forza tranquilla dell’Olimpiade: «Sono molto sereno. Nella mia testa, Parigi è un’occasione più unica che rara. Vorrei fare un’altra cosa straordinaria». Aspettando le batterie di domani, Ali è diventato il terzo italiano della storia — dopo Tortu (9”99 nel 2018) e Jacobs (9”80 nel 2021) — a sbrecciare il muro dei 10”: 9”96 a Turku, in Finlandia, il 24 giugno. È con quelle belle sensazioni in valigia che lo sprinter azzurro a 25 anni è sbarcato ai suoi primi Giochi. Nella scia del re di Olimpia, per provare a stupire il mondo.

Come ci si sente a pensare che, tra gli avversari da battere, c’è anche il totem Jacobs, Ali?
«Bene. L’esempio di Marcell mi ha sempre spinto a dare il meglio di me e a tirare fuori i risultati più notevoli. Saperlo sui blocchi è una motivazione aggiuntiva. Ci sentiamo spesso, anche quando è in Florida. Mi consiglia, è come un fratellone maggiore».

Non è che l’argento europeo l’ha appagata?
«No. Voglio tutto. Il personal best, la finale, una frazione nella 4x100 che difende l’oro di Tokyo: se mi chiamano, io ci sono. Sono nuovo a questi livelli, sto attento a muovermi in modo cauto. Però mi sento anche al centro del mio percorso, la strada è giusta. Sono contento».

Da bambino, affidato alla famiglia Mottin di Albate, quartiere a sud di Como, giocava a pallone.
«Come tutti, credo. Ero terzino nei pulcini, l’allenatore era gasato dalla mia velocità sulla fascia. L’approccio con l’atletica è stato graduale: all’inizio era un gioco, l’ho messa in pausa molte volte, infine l’ho ripresa con più serietà. Da ragazzino amavo gareggiare, meno allenarmi... Insomma, non avevo la maturità giusta».

E quando è arrivata la maturità giusta?
«Tra i 16 e i 17 sono cresciuto di una decina di centimetri all’anno, ero muscolarmente precoce. Mi destreggiavo tra salti e ostacoli. La velocità l’ho abbracciata tre anni fa».

Chi si è accorto delle sue doti da sprinter?
«Il mio allenatore Claudio Licciardello, a Castelporziano, dove vivo nella caserma delle Fiamme gialle. Per lui, da subito, io sono stato un velocista puro. E mi ha convinto. Ho corso un paio di 150 m, poi a un meeting a cui mi avevano invitato per fare i 100 c’è scappato un record Under 23. Quello è stato il primo scatto di testa».

Dichiara 198 centimetri per 98 kg e il 49 e mezzo di piede (48,5 con le scarpe chiodate, che si indossano senza calze). Di sprinter così imponenti ce ne ricordiamo soprattutto uno...
«Bolt! Se mi vedi in allenamento, non diresti mai che sono in grado di correre forte. Ma in gara cambia tutto: uso l’adrenalina come carburante. E nessuna disciplina te ne dà come lo sprint, dove non esiste margine di errore».

È un freddo o un caldo?
«Non sono freddo. Sono un atleta che vive di stimoli: mi accendo nelle situazioni. E il cronometro comincia a darmi ragione. Ma il meglio deve ancora venire».

Venuto al mondo a Como da mamma nigeriana e papà ghanese. Ci racconta la sua storia, Chituru?
«Non mi chieda perché sono nato a Como: non lo so. Mi ci sono ritrovato! Conosco mia madre Nancy: vive in Svizzera, ci sentiamo ogni tanto; mio padre non lo vedo da quando ero piccolo. Vivo con la famiglia affidataria Mottin da che avevo tre anni. Chiamo Giovanni, che ha 40 anni, mio fratello, e mamma e papà i signori Mottin: Vittorio insegnava e adesso fa il pittore, Anna è contabile».

Hanno un ruolo, nella scelta dell’atletica?
«Mi hanno sempre sostenuto, qualsiasi cosa io volessi fare. Anche quando mi sono diretto verso la pista. Ne approfitto per ringraziarli».

Lo sprinter tipo è pesantemente tatuato, a volte arrabbiato, spesso teatrale. Lei?
«Io di tatuaggi ne ho tre ma non si vedono, perché restano sotto la canottiera dell’Italia. Il più grande sulla schiena: due ali per volare».

Lo sprinter tipo è fidanzato, magari con un’influencer.

«Valeria, la mia ragazza, è romana e fa la logopedista. Ha partecipato a Miss Italia, non ha nulla a che vedere con lo sport però capisce il mio mestiere anomalo e il mio stile di vita. E se il sabato sera non ho voglia di fare baldoria perché la mattina dopo ho una gara, lo accetta».

Beh, è importante. Il sogno nel cassetto?
«Il record del mondo, magari in una gara internazionale. Lo so, lo so: non è facile».

9”58, firmato Usain Bolt, correva il 2009.
«Bolt lo studio da anni, avrò visto e rivisto una marea di video. La sua decontrazione nella fase lanciata, una volta uscito dai blocchi, è assurda. Mi ispira tanto. Fuori dallo sport seguo Vittorio Sgarbi: mi piace la dialettica con cui spiega i capolavori della pittura. In casa Mottin si respira arte da quando sono arrivato».

La sua, di arte, è mobile.
«Arrivo a Parigi dopo un percorso finalmente ottimale. Se va forte Jacobs, vado forte anch’io».

2 agosto 2024

- Leggi e commenta