Chi era Ismail Haniyeh, il leader di Hamas ucciso da Israele a Teheran

diDavide Frattini

A capo dell'ufficio politico di Hamas dal 2017, è stato ucciso in seguito a un raid israeliano contro la sua residenza 

DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME – Il campo rifugiati Shati, spiaggia in arabo, si chiama così perché le case di cemento grigio, i piani aggiunti sbilenchi all'allargarsi delle famiglie, stanno a picco sulla costa, dalle rocce sgocciola in mare la fogna a cielo aperto. Quella che dovrebbe essere la strada d'ingresso principale è un vicolo sempre infangato che porta al palazzotto, ormai distrutto, dove ha abitato Ismail Haniyeh. Le sbarre impediscono ancora di arrivarci, anche se il capo di Hamas - ucciso nella notte fra martedì e mercoledì - non ci viveva più da un paio di anni, base fissa in Qatar, atterraggi e decolli da Doha verso gran parte de Medio Oriente: lui che di Hamas era il capo all'estero poteva muoversi per tenere i contatti con l'«asse della resistenza» che per gli israeliani è l'«asse del male». Visite nelle capitali della regione per incontri strategici o strette di mano cerimoniali, come a Teheran.

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Sulla Spiaggia ci era nato 62 anni fa, il padre pescatore. Dopo le battaglie della prima intifada e la prigione, era diventato assistente dello sceicco in carrozzella Ahmed Yassin, ucciso dagli israeliani nel marzo del 2004, il successore Abdel Aziz Rantissi dura un mese, un missile centra la sua auto. A quel punto i boss dell'organizzazione formano un triumvirato clandestino, meglio restare nascosti, i tre dovrebbero essere alla pari, in realtà lo guidava Haniyeh ed è lui a essere il primo nome della lista che gli islamisti decidono di presentare alle elezioni parlamentari del 2006, Yasser Arafat è morto due anni prima. Stravincono: Haniyeh è capo del governo a Gaza, mentre l'Autorità palestinese fa capo al presidente Abu Mazen a Ramallah.

Abu Mazen non riesce a fargli riconoscere gli accordi stipulati con Israele, che siano quelli di pace a Oslo o il riconoscimento dello Stato ebraico. Così la maggior parte della comunità internazionale lo boicotta, resta vuota la mensola che aveva preparato nel suo ufficio per raccogliere le foto con i grandi del mondo, gli arriva una telefonata di congratulazioni da Bobo Craxi, allora sottosegretario agli Esteri, che va di traverso al resto dell'esecutivo italiano guidato da Romano Prodi.

Il presidente lo disconosce nel 2007 perché i paramilitari gli tolgono con le armi il dominio sui 363 chilometri quadrati stretti tra Israele, l'Egitto e il Mediterraneo. I miliziani estremisti entrano nel palazzo rosa del raìs, quartiere residenziale di Rimal, indossano le sue ciabatte, si siedono sul copriletto di seta, voltano le foto della moglie, sguardo al muro perché è una donna e loro sono tutti maschi.

Per i 2,3 milioni di palestinesi ammassati dentro casa Ismail era sempre stato un figlio di Shati – lui che di figli ne aveva 13 – modesto e devoto, pronto a condividere con loro quel «sale e zaatar» come urlava agli israeliani durante i quasi due mesi di guerra tra luglio e agosto del 2014: «Ci basteranno a sopravvivere, non ci piegherete mai». I più sarcastici commentano che alla distanza agiata del Qatar con la varietà di maggiorana, Origanum Syriacum, ci può insaporire la carne di agnello.

Quando nel 2017 aveva sostituito Meshal – per 21 anni al vertice – gli analisti si convincono che con lui l'organizzazione possa diventare più pragmatica, più interessata a governare Gaza che a disarcionare Israele dal Medio Oriente. Le stesse illusioni che si formano attorno a Yahia Sinwar, eletto nella posizione tenuta da Haniyeh di regnante sulla Striscia. Congetture triturate dalla mattanza del 7 ottobre dell'anno scorso: le telecamere riprendono Haniyeh e gli altri dirigenti del gruppo negli uffici in Turchia mentre pregano e ringraziano per l'eccidio, 1200 israeliani uccisi.

In questi dieci mesi di guerra contro Hamas a Gaza, i ministri e i generali israeliani hanno dichiarato tutta la leadership dell'organizzazione «destinata a morire», bnei mavet suona la sentenza in ebraico. Avigdor Liberman, sul punto di diventare ministro della Difesa sotto Benjamin Netanyahu, aveva avvertito: «Quarantotto ore dopo aver ricevuto l'incarico darò l'ordine di uccidere Haniyeh». Era il 2016. Tre anni dopo – ormai ex alleato di Netanyahu e tra i suoi critici più caustici aveva rivelato di aver presentato al consiglio di sicurezza «i piani dettagliati per eliminarlo ed è stato Bibi, in più di un'occasione, a opporsi». Quando Liberman si era dimesso, era stato proprio Haniyeh a provocarlo in un'intervista da Gaza: «Ho vinto io». I conti si sono chiusi a Teheran.

31 luglio 2024 ( modifica il 31 luglio 2024 | 08:03)

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