Da Cleopatra agli Houti, storia del Canale di Suez: tra guerre e business cuore pulsante dell’economia mondiale

LONDRA – I bombardamenti americani e britannici contro gli Houthi in Yemen, ritorsione per gli attacchi alla navigazione commerciale nel mar Rosso, riportano in primo piano l’importanza strategica del canale di Suez per l’economia mondiale. I ribelli yemeniti sostengono che le loro azioni sono una riposta alla guerra di Gaza, in sostanza una manifestazione di solidarietà ai palestinesi, contro Israele e contro il suo principale alleato, gli Stati Uniti. Washington e Londra affermano che i raid aerei contro gli Houti non c’entrano niente con Gaza, bensì sono una necessaria difesa delle navi cargo ripetutamente attaccate dallo Yemen. Non è la prima guerra scoppiata attorno alle acque del canale. Ecco una scheda per ricostruire la storia di quest’opera monumentale e per valutare le conseguenze innanzi tutto economiche del conflitto in corso.

IL CANALE DI SUEZ
Il canale di Suez è un alveo artificiale navigabile situato in Egitto, a Ovest della penisola egiziana del Sinai, tra il mar Mediterraneo e il mar Rosso. Permette la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, in pratica fra l’Occidente e l’Oriente, senza la necessità di circumnavigare l’Africa lungo la rotta del capo di Buona Speranza, un periplo quest’ultimo che con le navi odierne allunga il viaggio di almeno dieci giorni.


LE CIFRE
Comprese le vie di accesso settentrionali e meridionali, il canale di Suez è lungo 193 chilometri. Lo attraversano circa 22 mila navi all’anno, pari al 30 per cento del traffico marittimo mondiale e al 15 per cento del commercio globale. Diversamente dal canale di Panama, altra opera artificiale costruita dall’uomo per evitare il giro intorno a un continente, quello di Suez non è composto da un sistema di chiuse: l’acqua vi scorre liberamente. In origine aveva 8 metri di profondità e 53 metri di larghezza. Nel 2010 è stato portato a 24 metri di profondità e a una larghezza che varia tra 202 e 225 metri.

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I LAVORI

La costruzione durò dieci anni, dal 1859 al 1869: fu inaugurato il 17 novembre di quell’anno. La grandiosa opera venne realizzata dal diplomatico francese Ferdinand de Lesseps su progetto dell’ingegnere italiano Luigi Negrelli, di origine trentina e cittadinanza austriaca. Consiste di due tratte, a Nord e a Sud dei Laghi amari. Il percorso segue quello dell’antico canale costruito da Dario I di Persia e restaurato dal faraone Tolomeo II, ma già prosciugato nel 30 avanti Cristo, quando la regina Cleopatra, dopo la battaglia di Azio, tentò vanamente di salvare i resti della sua flotta facendola passare attraverso il canale verso il Mar Rosso. Nel corso del millennio successivo fu più volte modificato e distrutto, poi il progetto venne definitivamente abbandonato, anche se nel 1504 mercanti veneziani proposero ai sultani mamelucchi regnanti in Egitto di provare a riaprirlo e Napoleone Bonaparte considerò a sua volta l’ipotesi di aprire una via d’acqua attraverso Suez. Il progetto definitivo fu redatto da Negrelli, un ingegnere nato a Fiera di Primiero, allora Tirolo italiano, parte dell’impero austriaco. Nel 1854 il diplomatico francese de Lesseps ottenne dal vicerè d’Egitto Said Pascià una concessione per costruire un canale marittimo affittando la terra per 99 anni. Il canale era di proprietà della Francia, attraverso 20 mila azionisti (56 per cento) e dell’Egitto (44 per cento). Fu inaugurato da decine di imbarcazioni, alla presenza di teste coronate di tutta Europa. Il vicerè d’Egitto aveva chiesto a Giuseppe Verdi di comporre un’opera per l’occasione, ma il grande compositore rifiutò, anche se poi compose l’Aida, andata in scena al Cairo nel 1874.

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LE PRIME GUERRE

Nel 1875 il debito estero costrinse Ismail Pascià, successore di Said, a vendere la quota del canale di proprietà dell’Egitto al Regno Unito. Nel 1882, durante la guerra anglo-egiziana, le truppe britanniche vennero schierate in difesa del canale. Nel 1885 una conferenza internazionale tenutasi a Parigi stabilì che il regime del canale era quello della libertà, che lo lasciava aperto a tutte le navi, civili o militari, in tempo di pace come in tempo di guerra. Durante la Prima guerra mondiale vi furono due tentativi da parte dell’Impero ottomano di impadronirsi del canale, in quella che fu chiamata “campagna del Sinai”. Nella Seconda guerra mondiale il canale finì più volte nel mirino della Regia Marina italiana.

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LA CRISI DI SUEZ
È la crisi che prese avvio nel 1952 dal rovesciamento della monarchia di re Faruq d’Egitto da parte di ufficiali dell’esercito egiziano guidati dal generale Gamal Abdel Nasser. Preso il potere e costituita la repubblica, nel 1956 Nasser annunciò la nazionalizzazione del canale. Il Regno Unito e la Francia iniziarono a bombardare l’Egitto dal mare e dal cielo con le loro portaerei, mentre le truppe israeliane, d’accordo con Londra e Parigi, occuparono il Sinai per via di terra arrivando fino al canale. Nasser rispose affondando tutte le navi presenti in quel momento nel canale, bloccando la navigazione. Paracadutisti britannici occuparono il canale. Ma la crisi si concluse quando l’Unione Sovietica, alleata di Nasser, minacciò di entrare nel conflitto a fianco dell’Egitto: temendo che ne potesse scaturire una nuova guerra mondiale, gli Stati Uniti, attraverso le Nazioni Unite, fecero pressioni per costringere britannici, francesi e israeliani a ritirarsi. Ribattezzata da allora “crisi di Suez”, è la guerra che segna il definitivo tramonto dell’Impero britannico, segnalando che l’Occidente ha un nuovo leader, come era già peraltro risultato evidente dalla Seconda guerra mondiale: l’America.

GUERRA DEI SEI GIORNI
Durante la guerra del 1967 fra Israele e vari Paesi arabi determinati a cacciare gli ebrei dal Medio Oriente, poi risultata nella vittoria lampo di Gerusalemme, per l’appunto in sei giorni, le forze israeliane occuparono tutta la penisola del Sinai e raggiunsero la sponda orientale del canale. L’Egitto rispose imponendo il blocco del canale. Come risultato, 15 navi da carico rimasero intrappolate nel canale per otto anni e furono soprannominate “Yellow Fleet”, la Flotta Gialla. Israele si ritirò dalla sponda orientale, ma rimase sulla sponda occidentale del canale.

GUERRA DELLO YOM KIPPUR
Nella nuova guerra arabo-israeliana del 1973, l’Egitto attraversò con le sue truppe il canale, riconquistò buona parte del Sinai e per qualche giorno minacciò la sopravvivenza di Israele in un attacco a sorpresa congiunto insieme alla Siria. Ma poi la controffensiva israeliana ebbe la meglio, tanto che le forze israeliane riuscirono a raggiungere il canale, attraversarlo e a marciare verso il Cairo. Al termine del conflitto, durato diciotto giorni, Gerusalemme ordinò al generale Sharon, che le comandava, di ritirarsi fino alla sponda occidentale. Israele tenne il Sinai fino al 1979, quando restituì la penisola all’Egitto, e con essa l’accesso al canale di Suez, nell’ambito dello storico accordo di pace fra Gerusalemme e Cairo.

RADDOPPIO DEL CANALE
Nel 2015 è stato completato il raddoppio di una parte del canale, aprendo una seconda corsia di navigazione di 35 chilometri di lunghezza e così consentendo il passaggio in maniera separata delle navi in direzioni opposte, oltre a una maggiore profondità. Grazie a ciò è raddoppiato da 47 a più di cento il numero di navi cargo che possono passare ogni giorno, riducendo anche i tempi di navigazione.

L’INCIDENTE DELLA EVER GIVEN

Nel marzo 2021 la nave porta container Ever Given, lunga 400 metri, si è incagliata nelle acque del canale provocando il blocco totale della navigazione. La causa dell’incidente è stata attribuita a una tempesta di sabbia, spinta da venti fino a 70 chilometri orari, che hanno sospinto la nave fuori dalla rotta prevista. L’Ever Given si è così incagliata su una delle sponde del canale, ostruendolo completamente data la sua lunghezza. Soltanto dopo una settimana di intensi lavori la nave è riuscita a sbloccarsi e la navigazione ha ripreso, mentre nel frattempo centinaia di imbarcazioni erano in attesa alle due entrate del canale, nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, creando uno dei più grandi ingorghi marittimi della storia.

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LA GUERRA DEGLI HOUTI

Le minacce dei ribelli yemeniti alla navigazione sul canale si sono ripetute dall’inizio della guerra civile nel loro Paese un decennio or sono, ma gli attacchi si sono intensificati dopo l’aggressione di Hamas nel Sud di Israele del 7 ottobre scorso e la reazione militare israeliana a Gaza. Decine di navi di ogni nazionalità sono state attaccate con droni e razzi, un paio sono state catturare dai ribelli e condotte in porto nello Yemen. Da due giorni le forze aeree americane e britanniche rispondono con bombardamenti delle basi degli Houti in Yemen. I ribelli, che in realtà controllano gran parte dello Yemen inclusa la capitale e sono appoggiati finanziariamente e militarmente dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi, hanno promesso che ci saranno risposte per l’attacco angloamericano. Collegato o meno alla guerra di Gaza, il conflitto mediorientale si è già così allargato a un altro fronte, il terzo se si considerano anche gli scontri fra Israele e Hezbollah alla frontiera del Libano (oltre agli attacchi mirati in Siria e Iran). Ma a differenza del Libano e di Gaza, questo minaccia la navigazione internazionale e il commercio mondiale.

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LE CONSEGUENZE ECONOMICHE
Varie compagnie di trasporto marittimo, come la danese Maersk, che ha la più grande flotta di navi cargo al mondo, hanno sospeso la navigazione lungo il canale di Suez per timore di essere colpite dalla guerra. Altre stanno valutando cosa fare, perché le società di assicurazioni hanno immediatamente alzato alle stelle le polizze per le navi che transitano nel canale e il costo del viaggio diventa perciò proibitivo, spingendo alcuni a valutare se non sia più conveniente fare il lungo giro attorno all’Africa, anche se prende più tempo e più carburante. Il prezzo del petrolio è aumentato del 4 per cento, raggiungendo gli 80 dollari a barile: pur essendo cresciuto, non ha ancora raggiunto il massimo toccato durante l’invasione russa dell’Ucraina. Gli economisti occidentali temono che, se la guerra lungo il canale di Suez si intensifica, il prezzo del petrolio potrebbe salire ulteriormente fino a 100 dollari a barile, provocando una crisi energetica mondiale, un parallelo incremento del prezzo del gas del 25 per cento e un aumento dei prezzi generale. La globalizzazione stessa, che ha nel canale di Suez una delle sue arterie principali, sarebbe a rischio se si fermasse per lungo tempo la navigazione nel canale aperto grazie a un diplomatico francese e un ingegnere italiano più di un secolo e mezzo fa.