Maria Fida Moro, la vita tormentata della figlia dello statista dc: “Non è tutto chiaro”. Il dialogo senza sconti con i terroristi
Fino all’ultimo Maria Fida Moro, morta oggi all’età di 77 anni, dopo una lunga malattia, ha cercato la verità sulla morte di suo padre, Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Nemica della retorica arrivò a criticare la beatificazione del presidente dc perché avrebbe rappresentato una fumisteria con cui sigillare il caso Moro. “Non è tutto chiaro”, ha ribadito invece in ogni circostanza, scontrosamente polemica.
I delitti politici recano con sé traumi pubblici ma spessi ci dimentichiamo di quelli privati. E quindi anche Maria Fida, la primogenita di Moro, venne travolta dalla tragedia. I Moro erano una famiglia normale, la politica allora era, almeno nella visibilità mediatica, pervasa da pudori e discrezione, e il rapimento segnò anche un’esposizione violenta. Inutilmente, nei 55 giorni, i familiari cercarono di fare prevalere la linea umanitaria, e il fatto che Moro fu l’unico per cui non si trattò rimane una ferita insanabile per i quattro figli.
Maria Fida era già mamma, di Luca, quando Moro venne rapito. E a Luca il nonno, dalla prigione del popolo, dedicò alcuni passaggi strazianti nelle sue lettere. Anni dopo il nipote avrebbe scritto le musiche di una canzone dedicata ad Aldo Moro: “Se ci fosse luce”.
Con i terroristi Maria Fida mantenne un rapporto dialettico, pronta al dialogo, (fu l’unica a perdonare un’irriducibile come Barbara Balzerani), ma anche ferma nel criticare i loro eccessi mediatici, che prima dell’altolà pronunciato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si erano fatti predominanti. Nessuno voleva sentire la voce delle vittime.
In una lettera aperta ad Adriana Faranda, una delle br del sequestro, Maria Fida scrisse: “Tu hai il pieno diritto di avere una vita, ma anche noi la vorremmo. Tu dici di aver scontato la tua pena, anche noi abbiamo scontato la nostra. Tu hai fatto sedici anni di carcere, io 28. Tu hai finito e sei fuori, noi resisteremo nel carcere della disperazione a contemplare le nostre ex vite per sempre”.
Tentò anche la carriera politica. La Dc la candidò nel 1987 al Senato, fu eletta. Ma era troppo inquieta per sottostare alla disciplina di partito. Ruppe, e passò a Rifondazione comunista, e poi al gruppo misto, la si poteva incontrare dai Radicali, scrisse sul blog di Grillo, Lamberto Dini la candidò alle Europee, per ultima fu meloniana. E oggi al Senato Ignazio La Russa ha chiesto all’aula un minuto di silenzio per ricordarla.