L'invasione cinese ricomincia dall'Europa: così Pechino ha costruito il suo monopolio «verde»

Il vertice tra l’Unione europea e la Cina domani e dopodomani a Pechino, � il primo che si tiene �in persona� dopo il Covid, e dopo che la guerra in Ucraina (appoggiata da Xi Jinping) ha peggiorato le relazioni tra l’Occidente e la Repubblica Popolare. Accade sullo sfondo di una voragine di deficit che preoccupa l’Europa: la sua bilancia commerciale con il gigante asiatico � in �profondo rosso�: ben 400 miliardi di disavanzo.

Non � sempre stato cos�, in passato le relazioni commerciali tra le due economie erano abbastanza equilibrate per lunghi periodi, soprattutto grazie alle esportazioni tedesche. Diversi fattori spiegano l’improvviso e pesante squilibrio in favore di Pechino. L’export tedesco non tira pi� come una volta, le tecnologie made in Germany non sono altrettanto appettibili quanto in passato anche perch� i cinesi le hanno sostituite con le proprie (a volte copiando e saccheggiando propriet� intellettuale, almeno all’inizio). La domanda di consumi cinesi � depressa, il che agisce in due modi sul commercio estero: la Repubblica Popolare importa di meno; e le sue imprese non trovando sbocchi adeguati sul mercato interno diventano sempre pi� aggressive, fanno vendite sottocosto all’estero. Infine, e soprattutto, � in atto una nuova invasione cinese in Europa, questa volta trainata dalle tecnologie della �sostenibilit�: auto elettriche, batterie elettriche, pannelli solari, pale eoliche o componenti di tutti questi prodotti. Avendo distrutto gran parte dell’industria europea in questo settore, con anni di concorrenza sleale, la Cina oggi � di gran lunga la prima beneficiaria della de-carbonizzazione europea.

Da tempo Bruxelles si � arresa all’invasione del made in China nei pannelli solari: non vede un’alternativa, dal momento che la Repubblica Popolare ormai controlla il 90% della capacit� produttiva mondiale in questo settore. Mentre l’America sia con Donald Trump sia con Joe Biden ha abbracciato il protezionismo (dazi e altre misure discriminatorie), l’Unione europea su questo fronte del solare ha praticamente gettato la spugna. Pi� problematico, per le sue dimensioni sociali e politiche, � il disastro annunciato nel settore dell’automobile. L’industria automobilistica in Europa d� lavoro a 14 milioni di persone. Si preannuncia anche qui un disastro per l’arrivo di auto elettriche cinesi vendute sottocosto, con le quali l’industria europea difficilmente potr� competere. In Germania � massima allerta su questo fronte. Almeno sul fronte dell’auto elettrica Bruxelles tenta di reagire, ha avviato una procedura all’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, Wto) contro la concorrenza sleale cinese. � il �tribunale del commercio mondiale�, abilitato a dirimere questo genere di contenziosi. Ma il Wto � notoriamente lento, il suo verdetto rischia di arrivare fuori tempo massimo. Intanto si afferma una constatazione allarmante: l’Europa �verde� sar� sempre pi� un’Europa cinese.

L’America si trova in una situazione un po’ migliore, per diverse ragioni. Anzitutto ha visto nascere all’inizio del millennio un campione dell’auto elettrica come la Tesla di Elon Musk, che a lungo � stato un precursore e ha dato all’industria Usa una lunghezza di anticipo (anche se poi la fabbrica pi� grossa della Tesla � in Cina, e quel mercato di sbocco � molto importante per Musk). Poi da Trump a Biden l’America ha manovrato con spregiudicatezza varie forme di protezionismo anti-cinese: dai dazi ai sussidi per attirare sul territorio Usa fabbriche di auto e batterie elettriche. Gli stessi incentivi fiscali offerti negli Stati Uniti a chi compra un’auto elettrica, vengono meno se il prodotto � cinese o perfino se � di marca americana ma contiene troppi componenti cinesi. Infine l’America � pi� avanti dell’Europa nella strategia di ricostruzione di �filiere sicure� per la produzione di tutti i materiali indispensabili alle tecnologie verdi, come il litio. C’� pi� attivit� mineraria all’interno degli Stati Uniti, mentre estrarre dal sottosuolo rimane spesso un tab� in Europa (per resistenze… �ambientaliste�). C’� anche una maggiore capacit� degli Stati Uniti – sia a livello governativo che nell’industria privata – di tessere alleanze con fornitori come l’Australia, un peso massimo nei minerali e metalli rari.

Il dominio cinese, che pu� trasformarsi in un semi-monopolio, � stato costruito nei decenni e su pi� fronti. Non sono solo i prodotti finiti, come pannelli solari e auto elettrica, quelli che garantiscono alla Cina una soverchiante superiorit� nell’interscambio commerciale con l’Europa, ma anche tutto ci� che sta a monte e cio� la catena di raffinazione e trasformazione di minerali e metalli usati come componenti nelle tecnologie verdi. Quei minerali e metalli si trovano solo in minima parte nel sottosuolo cinese; per lo pi� la Cina si � garantita la propriet� o gli accordi commerciali per sfruttare risorse minerarie di altri Paesi, dall’Africa all’America latina. L’Unione europea continua ad essere in ritardo nella costruzione di filiere alternative e pi� autonome.

Il paradosso � che a casa sua la Repubblica Popolare non esita a ricorrere allo stesso protezionismo adottato dagli Stati Uniti… ma rivolgendolo contro gli europei. La Camera di Commercio UE a Pechino, che rappresenta le aziende europee presenti su quel mercato, ha presentato un elenco di mille richieste di riduzione di barriere protezioniste cinesi. Molte di queste barriere discriminatorie sono simili alle misure di Biden: impongono un quantitativo di �produzione locale� per i beni venduti sul mercato interno, per esentarli da dazi e restrizioni. Mentre il made in China sta monopolizzando la transizione verde europea, le aziende europee si vedono ostacolate… in mille modi (� il caso di dirlo) nel loro accesso a quel mercato. � improbabile che questo squilibrio cambi per effetto del vertice bilaterale dei prossimi giorni. L’Europa � riuscita a mettersi in una situazione di debolezza contrattuale: ha deciso di non poter fare a meno del made in China per la sua de-carbonizzazione accelerata; non riesce a rendersi altrettanto indispensabile all’economia cinese o a negoziare contropartite adeguate.