Il messaggio Usa a Netanyahu: Gantz ricevuto a Washington

Beer Sheva — Sulla strada principale di Beer Sheva, Sud di Israele, una donna rallenta il traffico mostrando un cartello. Sopra, ci sono i volti di alcuni dei 131 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas: alle sue spalle, cartelli più grandi e una piccola folla. Una frazione rispetto a quella che ieri ancora una volta si è radunata di fronte alla Knesset (il Parlamento) e alla residenza del primo ministro a Gerusalemme per ricordare i 150 giorni in prigionia degli ostaggi: ma il fatto che la protesta arrivi fin qui, nel deserto del Negev, in un’area del Paese solitamente lontana dai sussulti politici racconta bene quanto, a cinque mesi dagli attacchi del 7 ottobre, la sorte delle persone rapite quel giorno sia ancora l’elemento centrale della politica e della vita di Israele.

Ieri su quello che accadde quel giorno è arrivato un parere che qui non fa che accrescere rabbia e dolore: gli esperti delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale in teatri di guerra hanno pubblicato un rapporto in cui sostengono ci siano «fondati motivi per ritenere» che i miliziani di Hamas abbiano perpetrato «violenze sessuali, inclusi stupri e stupri di gruppo» quel giorno, che violenze sono state riscontrate anche sugli ostaggi e che è probabile che «lo siano ancora».

Il mancato riconoscimento delle violenze sessuali è stato uno dei motivi dietro al braccio di ferro di questi mesi fra Israele e le Nazioni Unite. Il parere dell’Onu nelle prossime ore andrà a esacerbare ulteriormente il dibattito sulla sorte degli ostaggi (fra cui diverse giovani donne, militari e civili) e di conseguenza come indirizzare l’offensiva militare su Gaza che da settimane spacca il governo e l’intero Paese. Un tema che l’ex capo dell’opposizione e oggi membro del gabinetto di guerra Benny Gantz ha affrontato ieri a Washington con la vicepresidente americana Kamala Harris e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jack Sullivan.

Il fatto che il più accreditato rivale di Netanyahu venga ricevuto lascia pochi dubbi sullo scontento che a Washington circola nei confronti del premier. Ieri un nuovo sondaggio ha confermato che per molti israeliani Gantz è l’uomo del futuro: se si votasse ora il suo National unity party avrebbe 31 seggi contro i 16 del Likud di Netanyahu.

Al centro dei colloqui alla Casa Bianca c’è stata la situazione umanitaria di Gaza: ieri gli Stati Uniti hanno fatto sapere che proseguiranno con i lanci di cibo, acqua e medicine iniziati nei giorni scorsi ma che questi non possono sostituire le consegne via terra. La richiesta a Israele – ancora una volta – è di aumentare il livello degli aiuti, anche aprendo altri punti di passaggio. Un duro messaggio in questo senso era stato lanciato due giorni fa da Harris, che ieri ha ribadito il momento delicato che attraversa la trattativa al Cairo: «Siamo nella fase in cui possiamo arrivare a un accordo», ha detto.

Ma a dimostrare quanto questa idea sia divisiva, ci sono le parole del ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che chiede di interrompere le trattative e di passare a una nuova fase di «intensi combattimenti»: esattamente il contrario di quello che Joe Biden ha detto di augurarsi in un’intervista al settimanale New Yorker. «Capisco la rabbia ma non puoi lasciare che ti consumi e ti faccia perdere i riferimenti morali», ha detto.

Ieri per la trattativa è stata una giornata di stallo, con un altro rappresentante di Hamas che ha spiegato alla Bbc che la lista dei prigionieri vivi e morti che Israele aspettava come condizione per sedersi al tavolo non esiste. «Sono in diversi luoghi e con diverse persone, non sappiamo con esattezza quanti siano morti sotto i bombardamenti e quanti di stenti: ci serve una tregua per fornire i dati», ha sostenuto Basem Naim.

Mentre gli occhi del mondo restano fissi su Gaza, Israele si interroga anche sull’altro fronte, quello con il Libano: ieri le sirene sono suonate più volte al Nord e un lavoratore indiano è stato ucciso da un missile, mentre altri lanci sono stati intercettati sulla Galilea. Sul fronte libanese il bilancio è di quattro morti, di cui tre medici impegnati in una missione: nei giorni scorsi nel Sud del Paese sarebbe stato ucciso anche un nipote del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah.