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«Le relazioni con gli Usa non cambieranno, il Messico non può guardare a Cuba e Nicaragua»
Santiago Creel, ex presidente della Camera dei deputati, è il capo della campagna di Xochitl Galvez, la donna che ha sfidato la candidata del governo, Claudia Sheinbaum, mettendosi alla test di tre partiti che un tempo si combattevano ferocemente - Partito rivoluzionario istituzionale, Partito di Alleanza nazionale e Partito rivoluzionario democratico - e oggi sono alleati nella coalizione Fuerza y Corazon. «Un'unione avviata nel 2019 quando ci siamo accorti che questo governo stava imboccando una strada pericolosa per la democrazia, attaccando le istituzioni e tutto ciò che avevamo conquistato con il processo di transizione democratica culminato nel 2000».
Lei appartiene alla generazione della transizione?
«Sì, l'abbiamo fatta in pace, creando autorità elettorali, istituto di trasparenza, commissione nazionale dei diritti umani e altre istituzioni, con programmi sociali integrali e non semplici trasferimenti di denaro. Programmi per combattere la povertà, anche se non con la velocità che avremmo voluto. L’economia cresceva, ci eravamo aperti al mondo con i trattati di commercio con Stati Uniti, Canada, Unione europea, Paesi dell’Asia. Il Messico si era convertito in un Paese esportatore, il motore della nostra economia. E sul lato politico, c'era l’alternanza, con rispetto per i tre poteri».
Nel 2018 però vince Lopez Obrador. Cosa gli rimprovera?
«Comincia subito a restringere il bilancio di istituzioni importanti, smette di fare le nomine, tenta di sottomettere il Congresso e la Corte suprema, inizia a violare i trattati commerciali e opera un riallineamento con i nostri alleati all’estero. Avevamo relazioni strette con il blocco dell’America del nord di cui facciamo parte. Lopez Obrador ha cominciato a stringere alleanze con Cuba, Venezuela, Nicaragua».
Quindi questa coalizione è formata con l’unico scopo di detronizzare Morena, il partito di governo?
«Il primo motivo è preservare il nostro sistema di governo. Nel 2021 ci siamo coalizzati per affrontare insieme le elezioni intermedie del Congresso. Abbiamo ottenuto oltre 19 milioni di voti. Morena ha ottenuto la maggioranza ma non sufficiente per fare modifiche costituzionali. Abbiamo fermato una serie di riforme che avrebbero distrutto le istituzioni e cambiato il corso della crescita economica. Poi c'è il tema della militarizzazione voluta dal presidente che colpisce direttamente la democrazia, perché trasforma i militari in poliziotti. E alla fine il tema della connivenza o convivenza con il narcotrafico, con il crimine organizzato».
Un'accusa molto pesante...
«Già nel 2021 abbiamo visto il grado di penetrazione del crimine organizzato, sulla costa del Pacifico soprattutto. In quei porti arrivano i precursori chimici dall’Asia e si installano i laboratori del fentanyl e altre droghe sintetiche. Dall’altro lato, abbiamo i Paesi andini, Colombia soprattutto, che spediscono la coca verso i grandi centri urbani di Usa e Canada. È un mercato che in Messico gira intorno ai 30 miliardi di dollari l’anno. Il Paese è per un terzo sotto il controllo del crimine organizzato».
Ma da li ad accusare Sheinbaum di essere una narcopresidente... avete le prove?
«Ci sono prove di risorse del crimine organizzato date a campagne di Lopez Obrador. Testimoni protetti in processi in Usa lo hanno riferito. Testimoni catturati dalla Dea che hanno accusato Morena e direttamente il presidente, anche nel processo ad El Chapo. E il problema del narcotraffico è molto serio. Il 70% delle morti nel Paese sono omicidi collegati al crimine organizzato. In questi sei anni, abbiamo registrato 190.000 morti e 50mila desaparecidos. Un numero superiore ai morti nella guerra in Ucraina e del conflitto con Hamas».
Lei ha ritirato la sua candidatura alla presidenza in favore di Xochitl Galvez. Crede davvero che possa vincere?
«Xochitl neutralizza il discorso polarizzante di Lopez Obrador, perché è indigena, è una donna e ha un pensiero progressista e liberale, da socialdemocratica. La conosco da vent'anni, eravamo entrambi nel governo del presidente Fox. E' molto competente e secondo i nostri studi siamo competitivi».
Le relazioni con gli Usa cambieranno?
«Siamo soci-commerciali: l’80 per cento delle nostre esportazioni va in Usa. Abbiamo una relazione migratoria e sociale: famiglie che vivono là e che mandano rimesse qui, terza fonte di reddito del Paese. Abbiamo una relazione di necessità: gli Usa hanno bisogno della manodopera messicana. Condividiamo una frontiera di 3000 km con 1.200.000 transiti diari. Negli Usa vicono 20 milioni di ispanici che avranno un ruolo chiave nelle prossime elezioni. E infine condividiamo il tema della sicurezza: loro hanno 100.000 morti per overdose da fentanyl all’anno, noi abbiamo 35.000 morti all’anno per il crimine organizzato. C’è una relazione stretta che non cambieremo né per Cuba né per il Nicaragua».
Lei appartiene alla generazione della transizione?
«Sì, l'abbiamo fatta in pace, creando autorità elettorali, istituto di trasparenza, commissione nazionale dei diritti umani e altre istituzioni, con programmi sociali integrali e non semplici trasferimenti di denaro. Programmi per combattere la povertà, anche se non con la velocità che avremmo voluto. L’economia cresceva, ci eravamo aperti al mondo con i trattati di commercio con Stati Uniti, Canada, Unione europea, Paesi dell’Asia. Il Messico si era convertito in un Paese esportatore, il motore della nostra economia. E sul lato politico, c'era l’alternanza, con rispetto per i tre poteri».
Nel 2018 però vince Lopez Obrador. Cosa gli rimprovera?
«Comincia subito a restringere il bilancio di istituzioni importanti, smette di fare le nomine, tenta di sottomettere il Congresso e la Corte suprema, inizia a violare i trattati commerciali e opera un riallineamento con i nostri alleati all’estero. Avevamo relazioni strette con il blocco dell’America del nord di cui facciamo parte. Lopez Obrador ha cominciato a stringere alleanze con Cuba, Venezuela, Nicaragua».
Quindi questa coalizione è formata con l’unico scopo di detronizzare Morena, il partito di governo?
«Il primo motivo è preservare il nostro sistema di governo. Nel 2021 ci siamo coalizzati per affrontare insieme le elezioni intermedie del Congresso. Abbiamo ottenuto oltre 19 milioni di voti. Morena ha ottenuto la maggioranza ma non sufficiente per fare modifiche costituzionali. Abbiamo fermato una serie di riforme che avrebbero distrutto le istituzioni e cambiato il corso della crescita economica. Poi c'è il tema della militarizzazione voluta dal presidente che colpisce direttamente la democrazia, perché trasforma i militari in poliziotti. E alla fine il tema della connivenza o convivenza con il narcotrafico, con il crimine organizzato».
Un'accusa molto pesante...
«Già nel 2021 abbiamo visto il grado di penetrazione del crimine organizzato, sulla costa del Pacifico soprattutto. In quei porti arrivano i precursori chimici dall’Asia e si installano i laboratori del fentanyl e altre droghe sintetiche. Dall’altro lato, abbiamo i Paesi andini, Colombia soprattutto, che spediscono la coca verso i grandi centri urbani di Usa e Canada. È un mercato che in Messico gira intorno ai 30 miliardi di dollari l’anno. Il Paese è per un terzo sotto il controllo del crimine organizzato».
Ma da li ad accusare Sheinbaum di essere una narcopresidente... avete le prove?
«Ci sono prove di risorse del crimine organizzato date a campagne di Lopez Obrador. Testimoni protetti in processi in Usa lo hanno riferito. Testimoni catturati dalla Dea che hanno accusato Morena e direttamente il presidente, anche nel processo ad El Chapo. E il problema del narcotraffico è molto serio. Il 70% delle morti nel Paese sono omicidi collegati al crimine organizzato. In questi sei anni, abbiamo registrato 190.000 morti e 50mila desaparecidos. Un numero superiore ai morti nella guerra in Ucraina e del conflitto con Hamas».
Lei ha ritirato la sua candidatura alla presidenza in favore di Xochitl Galvez. Crede davvero che possa vincere?
«Xochitl neutralizza il discorso polarizzante di Lopez Obrador, perché è indigena, è una donna e ha un pensiero progressista e liberale, da socialdemocratica. La conosco da vent'anni, eravamo entrambi nel governo del presidente Fox. E' molto competente e secondo i nostri studi siamo competitivi».
Le relazioni con gli Usa cambieranno?
«Siamo soci-commerciali: l’80 per cento delle nostre esportazioni va in Usa. Abbiamo una relazione migratoria e sociale: famiglie che vivono là e che mandano rimesse qui, terza fonte di reddito del Paese. Abbiamo una relazione di necessità: gli Usa hanno bisogno della manodopera messicana. Condividiamo una frontiera di 3000 km con 1.200.000 transiti diari. Negli Usa vicono 20 milioni di ispanici che avranno un ruolo chiave nelle prossime elezioni. E infine condividiamo il tema della sicurezza: loro hanno 100.000 morti per overdose da fentanyl all’anno, noi abbiamo 35.000 morti all’anno per il crimine organizzato. C’è una relazione stretta che non cambieremo né per Cuba né per il Nicaragua».