Ue, la presidenza di turno passa a Orbán. Sul voto von der Leyen vede i Verdi

diFrancesca Basso

L’incognita della guida ungherese. Il premier belga: lavorate nell’interesse di tutti gli europei

«Ora tocca all’Ungheria e al primo ministro Viktor Orbán», ha postato ieri pomeriggio su X il premier belga De Croo, passando il testimone della presidenza dell’Ue a Budapest. Ha chiuso il post con gli auguri di rito, aggiungendo però una frase che la dice lunga sui timori per i prossimi sei mesi: «Confido che lavorerete nell’interesse di tutti i cittadini dell’Ue».
Ieri Orbán era a Bruxelles per la cerimonia di consegna, che ha definito su X «molto gioiosa»: «Tutti sono molti contenti che sia il nostro turno di rendere l’Europa di nuovo grande!». Non proprio tutti. 

La democrazia illiberale di Orbán, i suoi legami con il Cremlino e con Pechino suscitano molti dubbi in gran parte delle capitali. Qualche mese fa è circolata l’ipotesi, accantonata, di non permettere a Budapest di guidare per i prossimi sei mesi l’Ue. E a fine gennaio l’irritazione dei Paesi nei confronti del veto persistente di Orbán sul pacchetto di aiuti finanziari da 50 miliardi per l’Ucraina ha spinto a minacciare l’applicazione del famoso articolo 7 del Trattato, per privare l’Ungheria del diritto di voto in Consiglio per violazione sistematica dei valori fondamentali. Con l’avvicinarsi della presidenza Budapest è diventata collaborativa, a modo suo. «Agiremo come mediatori imparziali», ha promesso il ministro degli Affari europei Janos Boka, aggiungendo che «allo stesso tempo l’Ungheria utilizzerà la luce per proporre la sua “visione dell’Europa” e indirizzarla nella giusta direzione». Una delle priorità della presidenza è restituire competitività all’Ue. Orbán è andato all’attacco sul Financial Times: «Questo declino può essere attribuito principalmente alle decisioni sbagliate di Bruxelles che vanno contro le realtà dell’economia mondiale».
 
I timori sulla presidenza ungherese sono ridimensionati. La riflessione a Bruxelles è che il timing non poteva essere migliore perché non ci saranno proposte legislative rilevanti, i prossimi mesi saranno impegnati dalla formazione del nuovo esecutivo comunitario. La visita del Collegio dei commissari è stata spostata a settembre. Nei prossimi giorni von der Leyen sarà impegnata nei negoziati per assicurarsi i 361 voti necessari per la sua rielezione da parte del Parlamento Ue.

Alla formazione della squadra, la presidente penserà solo dopo il 18 luglio, cioè dopo il voto anche se i portafogli sono parte delle trattative. Ma la strategia è non promettere niente di certo per mantenere una leva negoziale. Procedono intanto gli incontri con i gruppi. Ieri von der Leyen ha incontrato Bas Eickhout, co-leader dei Verdi: sul tavolo «una maggioranza stabile e democratica» e «nessun negoziato o affidamento sull’estrema destra, Ecr inclusa». Questa mattina alle 10 parteciperà alla conferenza dei presidenti, anche se non tutti i gruppi sono ancora formati: la riunione costitutiva dell’Ecr è in programma per mercoledì (cosa farà il Pis?) ma potrebbe slittare e quella di Id è stata spostata all’8 luglio, dopo il secondo turno delle elezioni francesi.

Il sentiero su cui si muove von der Leyen è stretto. Eventuali negoziati con FdI dovranno essere molto discreti. Meloni si farà convincere oppure opterà per un voto anti-sistema con le destre più radicali? La presidente dovrà poi fare leva sul senso di responsabilità di Ppe, S&D e Renew (399 voti) per cercare di ridurre il numero di franchi tiratori, che di fatto voterebbero con l’estrema destra. L’alleanza dei «Patrioti per l’Europa» di Orbán fa proseliti: i portoghesi di Chega si sono fatti avanti. Per un gruppo servono almeno 23 deputati (già superati) di 7 Paesi (ne mancano tre). La Lega è interessata. Ma sono partiti anti-Ue con i quali von der Leyen non dialoga.

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2 luglio 2024 ( modifica il 2 luglio 2024 | 07:02)

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