Nuovi raid Usa in Yemen, colpiti gli Houti a Sana’a. L’ira di Mosca e Teheran

Raid aerei americani colpiscono Sana’a, la capitale dello Yemen dove comandano gli Houti, nella seconda notte della campagna di bombardamenti ordinata dall’Amministrazione Biden in risposta all’uccisione di tre soldati americani sei giorni fa in Giordania. Attacchi aerei contro lo Yemen erano già in corso a partire dalla metà di gennaio, ma questi fanno parte di un’operazione di pochi giorni che punta a scoraggiare i gruppi armati legati all’Iran e sparpagliati in tutto il Medio Oriente. A partire dal 7 ottobre sono diventati molto aggressivi con le basi americane e le hanno attaccate centosessantacinque volte.

Venerdì notte gli aerei americani avevano preso di mira le milizie filo iraniane e avevano colpito ottantacinque bersagli in sette luoghi diversi, tutti a cavallo del confine fra Siria e Iraq. È la stessa zona poco controllata e poco accessibile che le milizie da anni hanno trasformato nel loro dominio. La Russia ha subito chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite domani, «per la minaccia creata dai bombardamenti degli Stati Uniti in Siria e in Iraq».

Del resto il Pentagono aveva spiegato fin dall’inizio che i raid di rappresaglia sarebbero proseguiti per alcuni giorni e i media americani lo avevano predetto già venerdì grazie a un’imbeccata ricevuta dall’Amministrazione Biden. Washington nelle stesse ore aveva avvertito di quello che stava per accadere anche il governo iracheno, perché sapeva che l’avvertimento sarebbe stato passato alle milizie e anche all’Iran.


Per adesso, a parte dichiarazioni molto dure e la reazione di Mosca che non vedeva l’ora di strumentalizzare la notizia, i raid americani non hanno scatenato una crisi incontrollabile e reazioni fuori dal comune. Il motivo è che tutte le parti in causa – soprattutto l’Iran – sapevano che cosa sarebbe successo e sanno anche che cosa aspettarsi nei prossimi giorni. Non si è trattato di un’operazione militare coreografata, perché le bombe americane secondo le fonti locali hanno ucciso quaranta persone, ma la mira era concentrata in particolare sulle infrastrutture e i leader e i consiglieri militari iraniani hanno avuto tutto il tempo di allontanarsi. Un video che arriva dalla Siria mostra un deposito di munizioni in fiamme, con un corollario di esplosioni secondarie.

Questi non sono i primi raid aerei contro le milizie filo iraniane, si tratta di operazioni ricorrenti che avvengono dopo aggressioni contro gli americani considerate più gravi del solito. Era già successo, tanto per citare qualche caso, il 27 ottobre, l’8 novembre e di nuovo il 13 novembre – sempre nella stessa zona di confine fra la Siria orientale e l’Iraq. La differenza è che quelli di venerdì notte sono stati più massicci, perché questa volta erano la risposta alle prime tre vittime americane.

I due governi dei territori bombardati, l’Iraq e la Siria, hanno protestato con durezza. Un portavoce dell’esercito iracheno, il generale Yahya Rasool, dice che «gli attacchi costituiscono una violazione della sovranità irachena, minano gli sforzi del governo iracheno e rappresentano una minaccia che potrebbe portare l’Iraq e la regione a conseguenze disastrose». Il regime siriano ha affermato che i bombardamenti «servono ad alimentare il conflitto in Medio Oriente in un modo molto pericoloso». Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha detto gli attacchi statunitensi sono violazioni della sovranità e dell’integrità territoriale di Siria e Iraq e rappresentano «un altro errore avventuroso e strategico da parte degli Stati Uniti, che si tradurrà soltanto in un aumento della tensione e dell’instabilità nella regione». I raid, continua, sono stati ordinati «per oscurare i crimini del regime sionista a Gaza».

A Washington invece i repubblicani criticano Biden perché avrebbero voluto una risposta più forte. Il senatore Roger Wicker, del Comitato per la Difesa, sostiene che «questi attacchi militari sono benvenuti, ma arrivano troppo tardi per i tre americani coraggiosi che sono morti e per i quasi cinquanta feriti. L’Iran e le sue milizie hanno cercato di uccidere soldati americani e affondare le nostre navi da guerra 165 volte mentre l’amministrazione Biden si congratula con se stessa per aver fatto il minimo indispensabile. Invece di dare all’Ayatollah il naso sanguinante che si merita, continuiamo a dargli un buffetto su una mano».