Davigo, confermata in appello la condanna a un anno e tre mesi per «rivelazione di segreto d’ufficio»

diLuigi Ferrarella

La vicenda dei verbali milanesi dell’ex avvocato esterno Eni Piero Amara sulla presunta associazione segreta «loggia Ungheria»

La Corte d’Appello di Brescia ribadisce la condanna a 1 anno e 3 mesi di Piercamillo Davigo: l’ex pm del pool Mani pulite nel 1992-1994, poi giudice e presidente di sezione di Cassazione, e infine componente del Consiglio Superiore della magistratura sino al pensionamento nell’ottobre 2020, è stato ritenuto dalla sentenza di secondo grado responsabile del reato di «rivelazione di segreto d’ufficio» per aver fatto circolare nella primavera 2020 dentro il Consiglio Superiore della Magistratura i verbali milanesi dell’ex avvocato esterno Eni Piero Amara sulla presunta associazione segreta «loggia Ungheria»: verbali consegnati a Davigo nell’aprile 2020 dal pm milanese Paolo Storari come reazione al percepito immobilismo del procuratore Francesco Greco e del procuratore aggiunto Laura Pedio nell’indagare per distinguere in fretta tra verità e calunnie di Amara, potenzialmente impattatanti in maniera indiretta su altre dichiarazioni dello stesso Amara e del sodale Vincenzo Armanna molto valorizzate all’epoca dalla Procura contro Eni e il suo a.d. Claudio Descalzi nel coevo procedimento sul depistaggio del processo Eni-Nigeria, istruito dall’altro procuratore aggiunto Fabio De a Pasquale.

Per giustizia o per dossieraggio

Davigo, a suo dire per «riportare sui binari della legalità» il procedimento su «loggia Ungheria» non ancora iscritto dalla Procura di Milano, in quella primavera 2020 riferì o fece vedere o persino consegnò quei verbali a molti consiglieri al Csm, spesso condendoli di sfavorevoli accenni all’ex amico consigliere Csm Sebastiano Ardita, nominato da Amara in quei verbali. Per questo nel procedimento bresciano Ardita con l’avvocato Fabio Repici si è costituito parte civile (e ha ottenuto 20.000 euro di risarcimento danni) accusando Davigo di aver utilizzato i verbali (datigli da Storari) per screditare la figura dell’ex collega di Csm ed ex compagno di corrente, con il quale aveva anche scritto un libro («Giustizialisti») ma era poi entrato in urto.

La difesa di Davigo, con gli avvocati Francesco Borasi e Davide Steccanella, ribatteva che, se l'intenzione fosse stata quella di colpire Ardita, Davigo «non avrebbe sollecitato su quei verbali ‘scottanti’ alcuna indagine che avrebbe anche potuto smentirli (come in seguito è tardivamente accaduto), ma si sarebbe limitato a conservarli in segreto per ‘utilizzarli’ in malam partem, mostrandoli di volta in volta a chi intratteneva buoni rapporti con il consigliere Ardita per screditarlo presso di loro in forma appunto ‘carbonara’. Invece si espose subito in prima persona con le due massime cariche, in quel momento, dell'organismo giudiziario».

Oggetto del processo bresciano a Davigo, infatti, sono le rivelazioni di segreto da Davigo a dieci persone. Non quella al procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, componente del Comitato di Presidenza del Csm, che nel colloquio con Davigo avrebbe per i pm evidentemente avuto l’altra «maglietta» di pg di Cassazione e dunque unico (tra tutti gli interlocutori) titolare dell’azione disciplinare verso i magistrati. Ma quella al vicepresidente del Csm David Ermini, che ricevette da Davigo anche copia dei verbali e si affrettò poi a distruggerli nella spazzatura ritenendoli irricevibili, pur se parlò della vicenda con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E poi le successive rivelazioni di segreto ai consiglieri Csm Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini, Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna; all’allora presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio; alle due segretarie amministrative di Davigo al Csm, Marcella Contraffatto e Giulia Befera; e al presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il senatore (allora nel Movimento 5 Stelle) Nicola Morra, in un colloquio privato sulla tromba delle scale del Csm e senza telefonini, fuori (per i pm) da qualunque regola, e solo per motivare l’indisponibilità a comporre (come Morra era venuto ad auspicare) i contrasti insorti con Ardita.

Storari, che in primavera sarà processato disciplinarmente dal Csm, nel penale è stato intanto già assolto in in primo e in secondo grado (con sentenza definitiva) per difetto dell’elemento soggettivo del reato di rivelazione di segreto, e cioè per aver fatto affidamento nella «liberatoria» assicuratagli da Davigo con la tesi della non opponibilità del segreto di indagine ai membri del Csm. La difesa di Davigo nel processo bresciano è infatti ruotata attorno al paradosso che a suo avviso si creerebbe se restasse lui alla fine l’unico condannato: «I rappresentanti della Procura di Milano che ebbero a raccogliere le inquietanti e gravi dichiarazioni» di Amara, che eccettuato Storari non ritennero di procedere ad alcuna iscrizione - «chi per l'attesa nomina di un alto ufficiale della GdF» (Greco), «chi per strategia processuale in relazione a un dibattimento in corso» (Pedio rispetto al processo Eni-Nigeria di De Pasquale) - «sono stati prosciolti in fase istruttoria dall'accusa di omissione in atti d'ufficio»; mentre «Storari, che invece ritenne di divulgare all'appellante quanto stava (o meglio ‘non’) stava accadendo, è stato assolto in via definitiva proprio dall'accusa di avere violato il segreto istruttorio»; e «Ermini e Salvi, che ulteriormente divulgarono a terzi quanto appreso da Davigo, il secondo addirittura direttamente contattando il Procuratore di Milano per attivare l'indagine ancora bloccata, non sono mai stati sottoposti ad indagine alcuna», aggiungevano i legali di Davigo. E «il consigliere Csm Di Matteo, che una volta ricevuti in forma anonima i verbali di Amara prese contatto con il Procuratore di Perugia cui era stato trasmesso per competenza il fascicolo che riguardava l'amico Ardita, infine ritenne di comunicare pubblicamente che vi era un'indagine in corso durante una seduta del plenum del Csm trasmessa in diretta da Radio Radicale» nella primavera 2021.

A ruota era così emerso che analoghe spedizioni anonime dei verbali di Amara fossero già stati inviate nell’ottobre 2020 al giornalista del Fatto quotidiano Antonio Massari (che aveva avvisato i pm milanesi Pedio e Storari), e nel febbraio 2021 alla giornalista di Repubblica Liliana Milella (che aveva avvisato il procuratore perugino Cantone). Ne era scaturita un’indagine tra Perugia e Roma che aveva ritenuto di individuare nella segretaria al Csm di Davigo, Marcella Contrafatto, la mittente dell’anonimo a Di Matteo accompagnato da alcune righe contro il procuratore milanese Francesco Greco: ma nei mesi scorsi Contraffatto è stata assolta in primo grado a Roma dall’accusa di calunnia di Greco, e a tutt’oggi per la giustizia non hanno un nome la persona o le persone che volantinarono ai giornali i verbali.

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7 marzo 2024 ( modifica il 7 marzo 2024 | 12:17)

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