Le ipotesi per sostituire Biden: Kamala Harris in cima alla lista (e la possibilità di una«convention contestedobrokered»)

diMassimo Gaggi

C'è anche l'alternativa di miniprimarie e convention aperta. L’obiettivo minimo dei democratici è ormai evitare il trionfo repubblicano anche al Congresso

PHILADELPHIA, PENNSYLVANIA - JULY 13: Vice President Kamala Harris speaks during a campaign event at the Asian and Pacific Islander American Vote Presidential Town Hall at the Pennsylvania Convention Center on July 13, 2024 in Philadelphia, Pennsylvania. Harris continues campaigning ahead of the presidential election as Democrats face doubts about President Biden's fitness in his run for re-election against former President Donald Trump.   Drew Hallowell/Getty Images/AFP (Photo by Drew Hallowell / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP)

La vicepresidente Kamala Harris durante un evento elettorale in Pennsylvania (Afp)

MILWAUKEE - Un ticket che metta, a fianco di Kamala Harris, un vice capace di recuperare voti nei tre Stati (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin) considerati l’ultima spiaggia dei democratici per tenere la Casa Bianca o, almeno, il controllo di una delle due Camere, evitando la temuta «valanga rossa» repubblicana. Forse il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, o quella del Michigan, Gretchen Whitmer. Oppure, se il partito non accetterà il passaggio «a scatola chiusa» del testimone da Biden alla Harris, una miniprimaria (coi candidati che si faranno avanti messi a confronto in pochi eventi organizzati in pochi giorni) per poi lasciare la scelta ai delegati nella convention democratica, a Chicago dal 19 agosto.

Gli scenari che si aprono se davvero — come dicono vari leader democratici e, ora, anche alcuni dei collaboratori di Biden — il presidente si prepara a fare un passo indietro, sono almeno due. Il primo: i leader a lui vicini che gli stanno consigliando il ritiro dicono di farlo per il bene del partito, ma anche per salvare l’eredità politica di un presidente che ha fatto riforme importanti, anche se la cosa oggi non gli viene riconosciuta dagli elettori. Il modo migliore, per Biden, sarebbe quello di lanciare la candidatura della vice che ha condiviso le sue politiche e, se eletta, potrebbe attuare i suoi interventi per le infrastrutture, l’ambiente, la riduzione della povertà nell’infanzia, una nuova fase di sviluppo dell’industria nazionale, soprattutto nelle tecnologie più avanzate. Se i personaggi storici del partito — Barack Obama, Bill Clinton, Nancy Pelosi, Jim Clyburn, leader dell’elettorato afroamericano — sosterranno questa scelta, difficilmente scenderanno in campo candidati alternativi di peso: alla convention i delegati di Biden dovranno solo adeguarsi alla nuova situazione votando per Kamala. È ancora questo lo scenario più probabile.

Ma c’è anche chi ritiene che, per salvare il salvabile, sia necessario un cambio di rotta più radicale, accantonando anche la Harris che fino a qualche settimana fa risultava nei sondaggi addirittura più impopolare di Biden (con tutti i rischi politici che si correrebbero negando la nomination alla prima donna, per di più di colore, divenuta vicepresidente).
Se al presidente non verrà data la possibilità di scegliere il suo successore (o se, cosa improbabile, Biden non indicherà la Harris), si aprirà la prospettiva — caotica ma anche in qualche modo anche energetica dal punto di vista dell’attenzione mediatica e della rivitalizzazione di un partito intorpidito — di una convention contested o brokered. Ipotesi diverse a seconda che si arrivi a Chicago con un nuovo candidato designato (Kamala, che in teoria raccoglierebbe l’eredità e i delegati di Biden) e uno sfidante, o con una situazione totalmente azzerata: i delegati, senza più vincoli in seguito al ritiro di Biden, liberi di scegliere tra i vari candidati che si saranno presentati nei giorni precedenti in alcune apparizioni televisive organizzate in varie città americane.

Sarebbe un salto nel buio, vista l’assenza di precedenti. L’ultima brokered convention risale al 1952: un’altra era, senza primarie, senza televisione, con pochi capi del partito che decidevano tutto di notte in stanze piene di fumo. Oggi c’è più democrazia, ma anche il rischio di nuove lacerazioni della grande tenda sotto la quale si agitano le varie anime del fronte progressista. Rischioso ma, probabilmente, anche una scossa salutare per un partito che oggi sembra alle corde.

Stando alle indagini di BlueLabs Analytics (centro ricerche molto ascoltato dai democratici) quattro esponenti — il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, quello del Maryland Wes Moore, quella del Michigan Gretchen Whitmer e il senatore dell’Arizona, l’ex astronauta Mark Kelly — verrebbero accolti dagli elettori progressisti meglio di Biden e della Harris.
Non c’è, dunque, il governatore della California, Gavin Newsom, mentre la Whitmer e Shapiro sarebbero funzionali alla missione più urgente per la sinistra: salvare Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, tre pezzi essenziali (e a forte rischio) del Blue Wall dei 18 Stati storicamente democratici.

Vanno citati, anche se improbabili, altri due scenari: Biden decide di resistere, contro tutto e tutti. A quel punto sarebbe ancora possibile (ma complicato e devastante) togliergli la nomination: i delegati del presidente possono anche non votarlo se ritengono che siano emersi elementi di straordinaria gravità. L’altro: non ottenendo garanzie sulla Harris dal partito, Biden si dimette subito facendola diventare presidente da qui al 20 gennaio 2025, pensando di mettere così tutti davanti al fatto compiuto. Ipotesi remota, ma abbiamo già visto cose impensabili diventare reali con sorprendente facilità

19 luglio 2024

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