Come funziona il procedimento alla Corte penale internazionale e quali sono le accuse a Netanyahu e ai capi di Hamas
La Procura ha formulato la richiesta per alcuni mandati di arresto: ora spetta alla Pre-Trial Chamber della Corte (una sorta di giudice per le indagini preliminari) decidere se emetterli. Di solito ci vogliono alcune settimane per questa valutazione
Lo scorso 20 maggio il Procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, ha chiesto l’arresto di alcuni componenti della leadership di Hamas, e di alcuni rappresentanti dello Stato di Israele — segnatamente il primo ministro Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant — per i drammatici fatti del 7 Ottobre 2023 e degli eventi altrettanto drammatici che vi hanno fatto seguito.
I crimini imputati alla leadership di Hamas e Israele
I crimini che la Procura ascrive ai leader di Hamas concernono l’attacco del 7 ottobre 2023, la presa e il successivo trattamento degli ostaggi israeliani. La Procura ha rinvenuto due condotte che costituirebbero crimini contro l’umanità, tre condotte che costituirebbero crimini di guerra, e tre condotte che integrerebbero entrambe le qualifiche, fra cui omicidi e torture commessi in maniera estesa e sistematica ai danni della popolazione civile israeliana. La leadership di Israele, per contro, è accusata di quattro capi di crimini di guerra, fra cui l’aver ridotto alla fame la popolazione civile palestinese («starvation») come metodo di guerra e mezzo di pressione per ottenere la liberazione degli ostaggi; e tre crimini contro l’umanità, fra cui la persecuzione della popolazione civile palestinese.
Il crimine di starvation è stato ravvisato nel contesto dell’assedio di Gaza, del relativo blocco degli aiuti umanitari e degli attacchi contro i civili in fila per ricevere gli aiuti. È la prima volta che questo crimine trova applicazione nella prassi della Corte. Fra i capi d’accusa rivolti ai vertici israeliani non risulta invece il genocidio, che pure rientra fra i crimini su cui è competente la Corte Penale Internazionale. Come noto, un caso contro Israele in cui si lamenta la violazione della Convenzione sul Genocidio è stato avviato dal Sud Africa alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Questa, a differenza della Corte Penale Internazionale, non processa individui, ma si occupa di verificare la legalità internazionale della condotta degli Stati.
La competenza della Corte
La Corte Penale Internazionale è competente (in gergo tecnico, ha giurisdizione), fra l’altro, rispetto ai crimini commessi sul territorio di uno Stato parte e/o da individui che siano cittadini di uno Stato parte. Israele non è fra i firmatari dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte. La Palestina, con una dichiarazione del 1 Gennaio 2015, ha accettato la giurisdizione della Corte rispetto ai presunti crimini «commessi nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme est, a partire dal 13 Giugno 2014»; il 1 Aprile 2015, è divenuta parte dello Statuto.
Il 5 Febbraio del 2021, la Pre-Trial Chamber della Corte Penale Internazionale — pur attenta a non prendere posizione sulla questione della statualità «formale» e della estensione territoriale della Palestina per fini diversi da quelli del suo limitato esame — ha riconosciuto la giurisdizione della Corte rispetto alla situazione, chiarendo che la competenza si estende su Gaza e Cisgiordania. È sulla scorta di questa decisione che la Procura ha ritenuto ieri di avere competenza a chiedere l’arresto di una serie di individui rispetto a condotte commesse sul territorio palestinese e/o da palestinesi.
Il procedimento davanti alla Pre-Trial Chamber
Allo stato attuale, la Procura ha formulato una richiesta per alcuni mandati di arresto. Spetta però alla Pre-Trial Chamber della Corte (una sorta di giudice per le indagini preliminari) decidere se emettere formalmente i mandati. In base allo Statuto della Corte, ciò avviene a esito di una valutazione prognostica favorevole circa l’esistenza di «motivi ragionevoli» («reasonable grounds») per ritenere che le persone indiziate abbiano commesso uno dei crimini rientranti giurisdizione della Corte.
È prevedibile che, come accaduto in passato, la Pre-Trial Chamber impieghi alcune settimane per raggiungere un verdetto sul punto. Per il mandato d’arresto contro Vladimir Putin è bastato meno di un mese. In altri casi, come quello dell’ex presidente del Sudan, Bashir, sono serviti mesi. Qualora un mandato d’arresto fosse spiccato, la giurisdizione della Corte non potrebbe comunque essere esercitata in contumacia. La presenza degli imputati all’Aja è necessaria perché un processo, a seguito del rinvio a giudizio, possa aver luogo.
A questo riguardo, in base all’Articolo 89 dello Statuto, gli Stati parte della Corte hanno il dovere di dare esecuzione ai mandati d’arresto su richiesta della stessa. Spesso, però, a questo obbligo si sono frapposti ostacoli — tipicamente più politici che giuridici — determinati dalla volontà di alcuni Stati parte di non danneggiare le relazioni diplomatiche con gli Stati degli indagati-estradandi. A oggi, 17 indagati rispetto ai quali è stato emesso un mandato d’arresto restano latitanti, fra cui lo stesso Vladimir Putin.
La rilevanza della richiesta odierna
L’odierna richiesta del Procuratore è pregna, come ovvio, di valore politico. Da una parte, risponde a una serie di critiche di «doppi standard» spesso rivolte alla Corte (ad esempio, di essere troppo focalizzata sui crimini commessi nel continente africano, o di esercitare una «giustizia selettiva»): per la prima volta, accuse gravissime vengono formulate in una richiesta d’arresto contro i vertici di un Paese saldamente in orbita occidentale. Dall’altra, l’analisi della Procura sottolinea le responsabilità di entrambi i lati del conflitto, facendo attenzione a non proporre letture manichee che discolpino, o ignorino, i (presunti) crimini dell’uno a causa dei (presunti) crimini dell’altro.
La valenza politica della decisione emerge anche da alcuni aspetti nascosti nella pieghe più giuridiche della richiesta della Procura. Secondo Khan, i crimini imputati alle parti si sono verificati nel contesto di un «conflitto armato internazionale» fra Israele e Palestina, e un «conflitto armato non-internazionale» fra Israele, Hamas, e altri gruppi armati palestinesi. Il richiamo alla nozione di «conflitto armato internazionale» sembrerebbe indicare una presa di posizione della Procura in favore della statualità della Palestina.
*Paolo Busco, Barrister, avvocato internazionalista, Twenty Essex Chambers, Londra. Alessandro Pizzuti, già consigliere giuridico dei Tribunali Internazionali per i crimini commessi in Ruanda ed Ex-Jugoslavia.