Franco Meloni e quei 1.500 kg di droga a bordo della barca “Cavallo pazzo”. Il giallo dei due viaggi

Quando la polizia spagnola chiese di entrare su “Cavallo pazzo”, la barca di Franco Meloni che aveva appena attraccato in un porticciolo di Minorca, la più piccola delle isole delle Baleari, l’imprenditore romano disse subito: «Tutta roba mia. Avevo bisogno di soldi e ho detto sì ad alcune persone. Gli altri non ne sapevano nulla». La «roba sua» erano 1.500 chili di hashish, presi chissà dove, e diretti sul litorale romano dove qualcuno aspettava il carico per metterlo sul mercato romano. I magistrati spagnoli però non gli credettero. E così sia lui sia altre tre persone, che con lui viaggiavano a bordo del veliero, furono arrestate e poi condannate: nove anni per lui, quattro agli altri componenti della barca.

La storia da narcotrafficante del padre della presidente del Consiglio per quanto è possibile ricostruire negli archivi giudiziari europei comincia e finisce qui. Quando, già da anni, aveva rotto ogni rapporto con Giorgia e Arianna e conduceva la sua vita in Spagna. Una vita apparentemente “normale”: un investimento nella ristorazione nelle Canarie come usava tantissimo in quel tempo. Una nuova compagna, due figlie avute precedentemente all’incontro con Anna Paratore, la mamma della presidente del Consiglio. Poi, secondo quanto Meloni aveva raccontato alla Polizia spagnola, un paio di investimenti sbagliati gli avevano creati grosse sofferenze economiche. Che lo avevano “costretto” a dire di sì a degli italiani che gli offrivano un lavoro facile per poter ripianare il suo debito: il trasporto di un carico di droga in Italia a bordo del suo veliero. «Un tipo di lavoro – hanno raccontato alcune fonti a Repubblica – che in quel momento veniva richiesto a tanti: ne furono arrestati parecchi di italiani, apparentemente insospettabili, che si prestavano a fare corrieri per i clan».

Meloni in quel momento non collaborò, quindi non fu possibile ricostruire chi erano gli “utilizzatori finali” di quel carico, né lui per chi lavorasse. Mai era emerso il nome di un clan, tantomeno quello dei Senese fatto oggi ai microfoni televisivi di Report. La storia giudiziaria racconta di un caso isolato. Repubblica, durante un lavoro durato mesi, aveva però riscontrato una serie di circostanze che potevano raccontare una storia diversa. Il controllo sulla barca di Meloni non fu infatti casuale. La Polizia spagnola andò a botta sicura, come se ci fosse stata una soffiata. Se qualcuno insomma li avesse avvisati che a bordo di “Cavallo Pazzo” non ci fosse soltanto un imprenditore romano con la passione per la vela. Chi? Alcune informazioni sembrano rafforzare il canale italiano: la Guardia di Finanza aveva in quel momento in piedi un’indagine sul narcotraffico sull’asse Baleari-Italia e potrebbe aver girato l’informazione ai colleghi spagnoli. Strano, però, che si sia fermati lì: in questi casi si mira non tanto a sequestrare il carico, e arrestare il pesce piccolo, quale sicuramente Meloni era. Quanto piuttosto a risalire la catena. In quel caso non accadde. Ma invece successe un’altra cosa: poco prima della barca di Meloni fu fermato un altro veliero, sempre carico di droga. Dissero di non conoscersi, all’epoca non esistevano indagini tecniche capaci di ricostruire movimenti e collegamenti. Ma in molti ancora oggi sono pronti a giurare: «Non era un viaggio soltanto. Erano due. Meglio: almeno due».