La battaglia del sale: uno status per tutelare il Made in Italy dalla concorrenza «esotica»

La battaglia del sale: uno status per tutelare il Made in Italy dalla concorrenza «esotica» La battaglia del sale: uno status per tutelare il Made in Italy dalla concorrenza «esotica»

In Italia sono presenti oltre 10.000 ettari di saline marine, con una produzione annua di 1,2 milioni di tonnellate di sale (corrisponde a poco meno del 30% della produzione totale), per un valore di oltre 60 milioni di euro. In Europa la produzione di sale marino è circa il 10% della produzione di sale totale. I principali Paesi “coltivatori” di sale marino nella Ue sono Francia e Italia, seguiti da Spagna e Grecia. Nell’ambito alimentare il sale è un elemento necessario alla produzione di molte eccellenze del Made in Italy, come prosciutti e formaggi. Per questo Confagricoltura alcune mesi fa ha lanciato un progetto per far riconoscere a questa produzione lo status di attività agricola e le agevolazioni fiscali ad esso legate.

La concorrenza dei sali «esotici»

Il sale Made in Italy subisce la concorrenza dei cosiddetti sali gourmet o presunti tali, a partire dal famoso rosa dell’Himalaya, che in realtà arriva dal Pakistan, che grazie a operazioni commerciali di successo sono sempre più popolari tra i consumatori. Anche sulle tavole degli chef i sali colorati dalle origini esotiche spesso sostituiscono il più comune sale marino, meno popolare anche perché più economico. E il paradosso secondo Giampietro Comolli, economista agronomo e docente esperto di distretti produttivi-turistici sta proprio qui: prodotti come il sale himalayano, senza certificazione e tracciabilità, hanno un valore economico che è decine di volte più alto di quello del sale marino italiano, che deve rispettare tutta una serie di regole e standard come previsto dalla normativa Ue. «Le diverse saline di mare e di miniera stima potrebbero produrre 4-5 milioni di tonnellate l’anno, mentre la reale produttività attuale complessiva si attesta su 2-2,4 milioni di tonnellate», ha dichiarato Comolli al Messaggero.

L’iniziativa di Confagricoltura

Dopo la nascita ufficiale del coordinamento tra Confagricoltura e gli imprenditori agricoli e della produzione del sale marino italiani, il progetto di valorizzazione della salicoltura di recente ha fatto tappa in Sicilia, dove si concentrano numerosi siti dedicati alla coltivazione e alla lavorazione del sale. Il progetto mira a dimostrare che la coltivazione del sale marino è assimilata all’attività agricola, e pertanto necessita di una normativa mirata in tal senso, sulla quale il sottosegretario Patrizio La Pietra, si è già espresso favorevolmente. «Confagricoltura - ha sottolineato il vicepresidente nazionale, Sandro Gambuzza, in occasione dell’inizitiva in Sicilia - detiene la massima rappresentanza nelle attività di coltivazione del suolo e dell’acqua, come l’acquacoltura, e tra queste non può che accogliere la salicoltura marina. Ecco perché abbiamo deciso di essere protagonisti di questa iniziativa, che darebbe un riconoscimento concreto a un comparto che opera nella salvaguardia del territorio, dell’ambiente e dell’ecosistema, producendo un elemento naturale di grande valore nutrizionale e anche economico».

Le società che hanno aderito

Le società di gestione delle Saline di mare dell’Italia che hanno formalizzato la loro collaborazione al progetto sono: Sosalt Spa e Isola Longa in Sicilia; Atisale Spa (Puglia e Sardegna); Saline Ing. Luigi Conti Vecchi in Sardegna; Parco della Salina di Cervia (Emilia Romagna). Ai firmatari si aggiungono inoltre, come sostenitori, le saline di Trapani Oro di Sicilia, Ettore e Infersa e Isola di Calcara.

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