Il capo della Federcalcio palestinese Rajoub, fedelissimo di Arafat: «Israele fuori dalle competizioni». Ma la Fifa prende tempo

diDavude Frattiini

Il capo della Federazione palestinese ha presentato una mozione per chiedere che la nazionale israeliana venga sospesa «per la violazione delle leggi internazionali commesse in Palestina, soprattutto a Gaza». La Fifa ha rimandato qualunque sanzione a una sessione straordinaria il 25 luglio

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME - Oltre vent’anni fa gli ha puntato la pistola in faccia e lo ha minacciato: «Vuoi prenderti il mio posto». Adesso che Yasser Arafat è sepolto nel mausoleo a Ramallah e il revolver sta sotto una teca di vetro non lontano dalla tomba, Jibril Rajoub ha intitolato un torneo alla memoria di Abu Ammar, il nome di battaglia del leader, come il suo resta Abu Rami anche adesso che non è più il capo della sicurezza preventiva, i servizi segreti interni, e usa la durezza da ex sceriffo della Cisgiordania per promuovere il calcio palestinese e cercare di intralciare quello israeliano da presidente della federazione dello Stato che ancora deve nascere.

La Fifa ieri ha posticipato la decisione sulla sospensione temporanea della nazionale israeliana dopo la mozione presentata da Rajoub «per violazione delle leggi internazionali commesse in Palestina, soprattutto a Gaza». L’organismo ha rimandato qualunque sanzione a una sessione straordinaria il 25 luglio, prendendosi il tempo di far analizzare le eventuali trasgressioni indicate nel suo statuto su diritti umani e discriminazioni.

Questa volta il fedelissimo di Arafat, che non ha trovato posto nell’era Abu Mazen, ha dovuto accontentarsi di aspettare i tempi supplementari. Nel 2018 era riuscito a far cancellare una partita, l’ultima prima del Mondiale in Russia, all’Argentina di Leo Messi contro Israele. Non era bastata la telefonata del premier Benjamin Netanyahu all’allora presidente Mauricio Macri, considerato vicino allo Stato ebraico. Sono bastati gli avvertimenti di Rajoub: ha minacciato di convincere i Paesi arabi a votare contro la candidatura argentina a ospitare i Mondiali nel 2030, se la squadra avesse accettato di correre su terre che definisce «occupate», anche se lo stadio sorge nella parte occidentale di Gerusalemme e non nelle zone palestinesi. In realtà la sfida avrebbe dovuto giocarsi ad Haifa, ma con zelo nazionalista la ministra Miri Regev aveva ottenuto di spostare l’incontro, con il conseguente autogol di aprire la questione politica attorno alla città che la maggior parte della comunità internazionale non riconosce come capitale dello Stato israeliano.

I contatti costruiti negli anni anche con i generali di Tsahal avevano permesso a Rajoub di smuovere i permessi per gli spostamenti e qualche posto di blocco: così nel 2011 era riuscito a far giocare per la prima volta la nazionale palestinese in casa nello stadio intitolato a Faisal Husseini, non lontano da Gerusalemme, nelle zone arabe. Ha anche introdotto la serie B e imposto ai sindaci — come una volta imponeva l’ordine con i kalashnikov e gli interrogatori, è stato accusato di torture dalle organizzazioni umanitarie — di creare squadre cittadine unificate superando le divisioni tra le fazioni ognuna con il suo club. Non ha potuto portar fuori i giocatori da Gaza sotto assedio da oltre sette mesi di guerra per le qualificazioni al Mondiale del 2026 e per la partite della Coppa d’Asia, tutte giocate lontano dalla Cisgiordania.

Come ha spiegato in un’intervista all’emittente Al Jazeera, di proprietà del Qatar, considera lo sport «parte della nostra resistenza». Incarcerato durante la prima intifada, tra i dirigenti del Fatah fondato da Arafat è quello che ha mantenuto le relazioni più forti con i capi di Hamas al punto di giustificare i massacri del 7 ottobre contro i villaggi israeliani «come guerra difensiva del nostro popolo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

18 maggio 2024

- Leggi e commenta