Uccise la suocera, per Enrico Zenatti resta l'ergastolo: nel 2008 fu annullata la condanna per l'omicidio di due escort

diLaura Tedesco

Confermata in Appello la sentenza per il veronese: ha ammazzato la madre della moglie (ora ex) a dicembre 2021. Le parole ai giudici: «L’assassino è un altro». Sedici anni fa la clamorosa assoluzione in secondo grado 

«Non sono stato io, il colpevole è un altro, non ho ucciso io mia suocera... Non avevo alcun motivo, nessun movente... Le indagini sono state a senso unico... Quando è stata trovata priva di vita, sono stato privato delle garanzie difensive...». Anche in secondo grado a Brescia, come già avvenne in prima battuta a Mantova, dal banco degli imputati il 56enne veronese Enrico Zenatti ha rivolto ai giudici un disperato, ultimo, accorato appello per convincerli che «l’assassino è un altro e non il sottoscritto». Sull’ex agricoltore di Custoza gravava un rischio pesante come un macigno: la conferma, come chiesto dalla Procura generale, del carcere a vita per aver infierito a morte sulla suocera Anna Turina. Alla fine non c’è stato alcun colpo di scena, perché la Corte d’assise d’appello di Brescia ha confermato la condanna all’ergastolo del 56enne: contrariamente al passato, stavolta la (clamorosa) storia non si è ripetuta per il veronese di Custoza protagonista di uno dei più clamorosi casi giudiziari degli ultimi anni. 

Il ribaltone del 2008


Una svolta datata 2008, quando la Corte d’assise d’appello di Venezia annullò, contro ogni previsione della vigilia, la condanna inflitta in primo grado a Zenatti nel 2006 a Verona per i delitti (poi rimasti insoluti) di due escort sudamericane. Una totale retromarcia giudiziaria che stavolta non si è ripetuta, perché i magistrati di secondo grado di Brescia con il loro verdetto (che verrà motivato tra 90 giorni) hanno ribadito la colpevolezza di Zenatti confermando nella sua totalità quanto deciso in prima battuta dalla Corte d’assise di Mantova: ergastolo, «fine pena mai», con isolamento diurno per nove mesi, interdizione dai pubblici uffici, risarcimento di 400mila euro alle parti civili. 

Il delitto in due momenti

Per i giudici di primo e secondo grado, quindi, non c’è alcun dubbio: il 9 dicembre 2021 Zenatti assassinò la suocera 73enne, nella casa della vittima a Malavicina di Roverbella, nel Mantovano. È infatti nella vicina provincia lombarda che, dopo la clamorosa assoluzione del 2008 a Venezia e il ritorno in libertà, il veronese aveva all’epoca intrapreso una nuova vita, cambiando lavoro e andando ad aiutare la famiglia della moglie nella gestione di un negozio di ortofrutta. Un «desiderio di uscire dai riflettori» e soprattutto dai titoli di cronaca che, invece, si è infranto di colpo a fine 2021, quando Zenatti si ritrovò a distanza di 17 anni dal caso delle escort nuovamente in cella, stavolta per l’atroce morte della suocera. Un delitto agghiacciante, perpetrato secondo gli investigatori dal veronese in due tempi: Zenatti l’avrebbe prima colpita alle spalle nella cantina di casa e dopo alcune ore, quando sua moglie lo chiamò per dirgli che la madre era ferita, sarebbe tornato a «finire il lavoro», allontanando con una scusa gli altri parenti (la moglie Mara e il cognato Paolo, fratello di quest’ultima) e sgozzandola con un coltello da cucina.

In aula

Un omicidio per cui Zenatti anche nelle scorse ore in aula, prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio per decidere della sua sorte di imputato e soprattutto di uomo, ha continuato a sostenere la sua innocenza, come aveva già fatto nel 2006 quando fu condannato in primo grado a 18 anni per l’omicidio delle prostitute Luciana Lino Da Jesus e Yolanda Garcia Holguin, ma poi assolto due anni dopo in appello grazie alla testimonianza della moglie Mara Savoia che stavolta, però, ha preso le distanze dal marito chiedendo prima la separazione e poi anche il risarcimento costituendosi insieme al fratello Paolo parte civile con l’avvocato Massimo Martini. E proprio alla (ormai ex) moglie Mara, nel suo estremo tentativo di difesa in Appello, Zenatti ha dedicato un passaggio del proprio intervento-appello, alludendo a un messaggio da lui inviato la mattina del delitto a una cliente a cui avrebbe dovuto consegnare a casa dei prodotti di ortofrutta. Un messaggio al cellulare che, forse per i toni «confidenziali», potrebbe secondo Zenatti aver «irritato» quel giorno la moglie, inducendola forse (ipotizza l’imputato) a rendere dichiarazioni a lui non favorevoli. Di ben altro tenore invece le dichiarazioni post-verdetto dei difensori, avvocati Silvia Salvato, ed Andrea Pongiluppi che annunciano la quasi certa intenzione, una volta depositate le motivazioni, di ricorrere in Cassazione, a cui spetta l’ultima, definitiva e non più impugnabile parola. La più pesante.

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17 febbraio 2024 ( modifica il 17 febbraio 2024 | 13:31)

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