Il ciclismo di Pogacar e Vingegaard: i segreti dei«marziani» che si contendono il Tour de France da 5 stagioni
Il Tour de France prima e dopo l'avvento di Pogacar e Vingegaard e il ciclismo che oggi va a tre velocità: quella siderale di Tadej, quella spaziale di Jonas e quella autostradale degli altri
Per capire com’erano il Tour e il ciclismo prima, prima dell'avvento dei marziani, torniamo al 21 luglio del 2019 quando la 15ª tappa della Grande Boucle si concluse a Foix Prat D’Albis (sui Pirenei) con Tadej Pogacar (19 anni all’epoca) e Jonas Vingegaard (22) per l’ultima volta spettatori davanti alla tv. Quella sera in maglia gialla c’era Julian Alaphilippe, al quarto posto trovavamo l’altro idolo dei francesi Pinot (+1’50”) e al 10° il colombiano Uran a 10’. Ben 39 atleti galleggiavano entro un’ora dal vincitore: distacchi standard negli ultimi trent’anni.
Il Tour che riparte oggi da Gruissan verso Nimes (16ª tappa a sfiorare la Provenza) appartiene a un’altra era sportiva. Dopo aver dominato sul Plateau de Beille, Tadej Pogacar (che conduce su Vingegaard ed Evenepoel) ha 11’ sul 4° (Almeida) e 16’30” sul 10°, il colombiano Buitrago. Solo 21 atleti hanno meno di un’ora di distacco e gli ultimi due (+57’) sono fenomeni che hanno vinto Tour e Giro, Bernal e Carapaz. Il ciclismo oggi va a tre velocità: quella siderale di Pogacar, quella spaziale di Vingegaard e quella autostradale degli altri. I 39’58” di Pogi sul Plateau de Beille domenica hanno sconvolto gli esperti. Di ciclisti capaci di scalare 1.900 metri di dislivello l’ora nel periodo moderno ce ne sono stati una quindicina ma al massimo per 25’/30’ non per i 40’ dello sloveno.
Pogacar su una salita di 15 km è capace di pestare sui pedali 6.8 watt per chilo di peso corporeo, 0.8 più del migliore dei suoi inseguitori: è la differenza tra un mezzo da Moto Gp e una 500 stradale. Vingegaard è della stessa pasta: il fatto che abbia demolito anche lui il record di Pantani a soli tre mesi dal terribile incidente di corsa ai Paesi Baschi parla chiaro. La differenza tra lui e lo sloveno è la versatilità: Pogacar vince anche sui go-kart, il danese al momento solo nei grandi giri.
Dietro a queste prestazioni ci sono certo componenti tecnologiche e tattiche. La Colnago di Pogacar non ha nulla a che vedere con la pur ottima Bianchi di Pantani del 1998 per leggerezza, aerodinamicità e scorrevolezza delle sue componenti, ma l'elemento chiave al Giro e al Tour per lo sloveno è una squadra di fuoriclasse in grado di tirare alla morte nella prima parte della salita — dove lui resta relativamente tranquillo — per poi farlo scatenare nel finale. Quando è a ruota su pendenze del 10% Tadej (lo si è visto domenica nei 5 chilometri in cui Vingegaard si era illuso di staccarlo) può guardarsi attorno e bere un the.
Il ciclismo di Pogi e Vingo costituisce problema non piccolo per il resto del gruppo: oscura, quasi umilia ogni altra prestazione. Remco Evenepoel — un fenomeno che sta facendo un grande Tour e che a Parigi proverà a vincere la crono contro Ganna — sta correndo alla grande ma esce di scena al primo allungo. Gli altri paiono comparse: le grandi speranze francesi (Gaudu, Martinez, Bardet) sono state tramortite già alla prima o alla seconda tappa, le loro squadre che si chiedono che senso abbia investire tutto in un Tour che per i prossimi tre, quattro o più anni sarà monopolio assoluto di due uomini. Da giovedì a sabato la corsa sfida le Alpi: i distacchi saranno ancora più ampi, i battuti sempre più battuti e il tempo massimo un baratro per i velocisti.