L’ultima stoccata di Valentina Vezzali: “Italia fuori dal podio del fioretto, un sacrilegio. Io non volevo perdere neanche a carte”

PARIGI - Sono i primi Giochi che vede da casa. Lei che ne ha vissuti sei in pedana da regina del fioretto: 9 medaglie olimpiche (6 ori, 1 argento, 2 bronzi). Valentina Vezzali, 50 anni, a Tokyo 2020 andò come Sottosegretario con delega allo sport del Governo Draghi e difese l’Italia della scherma a zero ori. Ma ora cosa dice con l’Italia fuori dalla finale del fioretto femminile.

Dove sono finite le sorelle d’Italia?

«Fa male, anzi fa riflettere, vedere il podio femminile del fioretto tutto nordamericano, due statunitensi e una canadese. E non c’erano le russe, mancava la forte Inna Deriglazova. Rispetto tutte, ma è un sacrilegio. Va bene, la scherma è cambiata, si è aperta, quando ero ragazzina io, trenta anni fa, dominava solo l’Europa, Germania, Italia, Francia, Romania, Ungheria. Adesso è diverso, c’è la globalizzazione, non devi sottovalutare nessun paese, da Hong-Kong all’Egitto. Guai dare per scontato che appartieni a una tradizione vincente e che metti paura. Però resta un’enorme occasione perduta».

2015-2016
2015-2016 

Scontenta delle sue compagne?

«Alice Volpi veniva da due mondiali da protagonista, a 32 anni era la sua ultima occasione per vincere un titolo, la giovane Marta Favaretto, bronzo mondiale, finora aveva fatto benissimo, Arianna Errigo dopo la maternità è rinata, l’ho vista tirare con una leggerezza che prima non aveva. Ma ci vuole anche testa e voglia. Io, quando ho iniziato, davanti avevo le grandi, mi allenavo con Giovanna Trillini, quattro anni più di me, perdevo e tornavo a casa infuriata. Babbo mi confortava: vedrai che un giorno ne metterai una di stoccata, e poi un’altra. Così è stato, ma io non ho mai mollato. E a Londra 2012 ho vinto un bronzo contro la coreana Nam, all’extra time e con una rimonta da brividi».

Era sotto 8-12 a 13 secondi alla fine. Vinse 13-12.

«Sì, resuscitai. Combattere per il bronzo è la cosa più difficile. Mentalmente sei uno straccio, hai perso la finale, sei distrutta, sfinita, amareggiata e dieci secondi dopo devi tornare in pedana. Quando non te ne frega più niente, svuotata come sei vuoi solo finire l’assalto e tornare a casa, però poi mi sono ricordata: ero Valentina Vezzali, la portabandiera, dovevo lottare fino alla fine. Perché così diceva il nostro maestro Triccoli di Jesi: fino a quando c’è una possibilità, sfruttala. La testa resta fondamentale, ti devi concentrare, punto su punto. Io ho fatto il miracolo, ci ho messo il cuore, ma quel giorno dal cielo mi hanno aiutato Triccoli e mio babbo».

Errigo ha perso al Var, Volpi non aveva accanto Daniele Garozzo, suo fidanzato e schermidore fermato da problemi cardiaci.

«E allora? Io sono tornata in pedana quattro mesi dopo la nascita di Pietro, una mamma senza il figlio. Alice come me aveva l’assistenza tecnica della squadra, la cosa che più conta. Certo, ognuna è diversa, ma non credo sia quello ad aver influito. Io la statunitense Kiefer, oro a Parigi, l’ho battuta ai mondali di Catania nel 2011, aveva 17 anni e nei quarti ho rimontato la francese Maitrejean da 5-11, ero sotto di quattro stoccate a 30” dalla fine. Quanto all’Errigo penalizzata dal Var, e lasciamo stare la maledizione della portabandiera, bisogna cercare di non trovarsi in quella situazione, io una volta a Cuba sono stata rimproverata dal maestro Giulio Tomassini».

Per quale peccato?

«Vincevo 14-0. Insomma era fatta, me la presi comoda, troppo. Vinsi 15-4. Tomassini me ne disse di ogni colore e mi urlò: guai ad arrivare sul 14 pari, a quel punto si può prenderle da chiunque e se te la giochi all’ultima stoccata la meno forte vince sempre. E per me era l’americana Scruggs. Detto questo, io non ci sto a perdere nemmeno a briscola».

Vengono dall’estero a imparare a tirare in Italia

«Sì e poi vincono. Abbiamo i maestri e le scuole migliori. A Jesi in fila davanti al ct Cerioni c’è il mondo, a Frascati anche. È giusto così, il confronto serve a tutti, prima ci si lamentava che la scherma fosse a portata di pochi, ora non possiamo lagnarci se tanti paesi si affacciano e ci battono».

Eravate il Dream Team d’Italia, ognuna con il suo carattere, non c’era pace tra di voi, vi mandavate a quel paese, ma quell’energia in pedana si vedeva.

«Ho avuto tante avversarie, ma quelle in casa ti spronano più delle altre, complicità e ostilità ti aiutano a non abbassare la guardia. Lo diceva anche Candido Cannavò: la rivalità fa bene. Di Francisca, Errigo, Trillini, eravamo diverse, forse non ci volevamo bene, ma non saremmo arretrate di un metro. C’è un solo segreto, combattere sempre, e vuoi non farlo nel paese dei Moschettieri?».