
Credendino: “Pronti contro tutte le armi degli Houti. La sfida è nei fondali”
«Il cacciatorpediniere “Caio Duilio” è una nave concepita proprio per queste missioni e può affrontare tutto l’arsenale degli Houti: oltre ai droni, anche i missili da crociera e quelli balistici. Prima il mondo era semplice: facevamo missioni a supporto della pace. Dal 2022 invece abbiamo dovuto recuperare rapidamente la capacità di combattere in situazioni ad alto rischio». L’ammiraglio Enrico Credendino è diventato capo di Stato Maggiore alla vigilia di una tempesta perfetta: nel giro di due anni alla guerra in Ucraina si è aggiunta quella di Gaza. «Ormai la Marina viene chiamata a svolgere un lavoro straordinario: abbiamo toccato il record di 42 navi operative contemporaneamente su sessanta; adesso sono in media 35. Ma la crisi nel Mar Rosso ha fatto comprendere a tutti i cittadini l’importanza delle rotte marittime. La nostra è un’industria di trasformazione, ha bisogno di ricevere materie prime ed esportare prodotti: il 40 per cento passa proprio da Suez. A causa degli assalti degli Houti il traffico nel Mar Rosso si è ridotto del 43 per cento, con costi triplicati per la necessità di circumnavigare l’Africa e il rischio che molte compagnie preferiscano usare i porti dell’Atlantico a discapito di quelli della Penisola. In passato poi gli attacchi dei pirati somali nella stessa zona hanno colpito tutte le nazioni, invece ora le navi cinesi non vengono toccate dai miliziani yemeniti e ne approfittano: i movimenti dei loro cargo sono cresciuti».

Ammiraglio, tutti gli occhi sono puntati sul Mar Rosso. Temete altri attacchi?
«Il cacciatorpediniere “Caio Duilio” ha i sensori e gli armamenti che servono per fronteggiare le minacce, ma soprattutto un lungo addestramento. Abbiamo dei droni-bersaglio che sono molto simili a quelli impiegati dagli Houti e prima di partire per il Mar Rosso prepariamo intensamente gli equipaggi ad abbatterli usando i cannoni di bordo. Io ho passato i primi quindici anni come ufficiale addetto alla difesa contraerea: conosco molto bene donne e uomini del “Caio Duilio”, so quanto sono bravi. Il comandante ha sempre avuto la situazione sotto controllo: è stato avvistato uno sciame di droni, poi uno si è staccato dalla formazione e ha puntato verso il “Caio Duilio”. Il comandante ha trasmesso avvisi via radio, poi ha identificato l’ordigno nell’oscurità con un visore all’infrarosso e aperto il fuoco: lo hanno abbattuto con sei colpi di cannone. Bisogna ricordare che agiamo per proteggere i mercantili e mantenere aperte le linee di comunicazione: adesso scortiamo le navi di interesse nazionale, quando la missione Aspides sarà approvata dal Parlamento lo faremo pure per quelle europee ma si tratta sempre di autodifesa».

Dal febbraio 2022 quanto è cresciuto l’impegno della Marina Militare per la tutela degli interessi nazionali?
«E’ aumentato moltissimo. La guerra in Ucraina ha avuto come impatto immediato l’incremento della flotta russa nel Mediterraneo: nel 2015 avevano una sola nave, l’anno scorso sono arrivati a schierarne 18 con tre sottomarini. Non è una minaccia diretta ma alza la tensione e il rischio di incidenti. Nell’estate 2022 una fregata russa a Otranto ha manovrato a meno di mille metri da una nostra. E la fregata “Carabiniere” si è dovuta interporre tra una portaerei statunitense e un’unità di Mosca che si è messa a lanciare droni proprio mentre decollavano i jet statunitensi: un modo di disturbare, con metodi che non si vedevano dai tempi della Guerra Fredda. Quando venivano segnalati i sottomarini russi, le portaerei Usa non si muovevano nel Mediterraneo senza scorta delle nostre fregate Fremm, le migliori nella vigilanza antisommergibile».
Si ritiene che gli Houti abbiamo sabotato i cavi sottomarini nel Mar Rosso. Cosa fate per proteggere le infrastrutture nei fondali?
«La Marina ha appena fatto un accordo con Telecom Sparkle. Il 99 per cento delle comunicazioni digitali passa dai cavi in fibra ottica nei fondali e loro stanno raddoppiando quelli nel Mediterraneo: fra poco un quarto del traffico internet mondiale transiterà dalle reti sotto il Mediterraneo. E noi aiutiamo a preservare e controllare la tenuta dei cavi sottomarini per evitare che vengano danneggiati, per un incidente o per un’azione deliberata. All’indomani della distruzione del gasdotto Nord Stream 2 abbiamo dato il via all’operazione “Fondali Sicuri” facendo uscire in mare i nostri cacciamine: con tutti i mezzi che hanno capacità di controllo dei fondali pattugliamo le infrastrutture critiche nazionali, che sono quasi tutte marittime. Non solo. Abbiamo creato nel comando di Santa Rosa una centrale operativa unica a livello europeo dove confluiscono i dati classificati dei nostri sensori, di quelli alleati e le informazioni delle aziende – Sparkle, Eni, Terna, Enel – e questo ci permette di avere il monitoraggio di quello che avviene sott’acqua. Il neonato Polo della Subacquea con sede a La Spezia metterà insieme in modo strutturale la sfera pubblica e gli operatori privati. Dobbiamo sapere chi transita nei fondali, dove lo fa e perché. Quindi servono sensori, centrali di comando e droni in grado di intervenire per vigilare, riparare, fare attività bellica, guidati da navi-madre che saranno a loro volta con o senza equipaggio. E’ un settore su cui dobbiamo investire: il ministro della Difesa Guido Crosetto intervenendo proprio al lancio del Polo della Subacquea ha detto che le risorse per i fondali dovranno essere pari a quelle che ci sono per lo Spazio. Anche perché il settanta per cento delle terre sono sommerse: minerali, idrocarburi e terre rare sono sotto il mare e possono diventare risorse vitali».

Nei prossimi mesi l’Italia avrà non solo il comando tattico della missione europea Aspides ma anche quello dell’operazione Ue Atalanta e quello della CTF153, una spedizione difensiva insieme con gli americani e altre nazioni. In pratica, tutte le iniziative internazionali per la protezione del traffico mercantile tra Mar Rosso e Oceano Indiano saranno guidate da ufficiali e navi della Marina. Abbiamo risorse sufficienti per gestire questo impegno?
«Sì. Anche se agli equipaggi viene richiesto uno sforzo eccezionale, affrontato con sacrificio e professionalità. La Marina viene chiamata la “Grande Silenziosa”: facciamo il nostro dovere lontano e in silenzio perché siamo convinti che sia giusto e comprendiamo l’importanza del mare per il Paese. Fortunatamente ci sarà in futuro un incremento dei numeri dell’organico e rappresenterà col tempo una boccata d’ossigeno. Attualmente invece dei cento giorni in mare previsti ogni anno se ne fa il doppio: sei mesi. I francesi hanno due equipaggi per ciascuna nave, noi non siamo in grado. Quest’anno manderemo in pensione la portaerei “Garibaldi”, il cacciatorpediniere “De Le Penne” e una fregata della classe “Maestrale” per avere abbastanza personale per le nuove navi. Non ci sono alternative. Una volta il Mediterraneo era presidiato dall’Us Navy, poi dalla presidenza Obama il loro focus si è spostato sull’Indo-Pacifico. Chi ha riempito questo vuoto? Mosca, che ora preme per avere una base in Libia, ma non solo: i turchi, con cui le relazioni sono ottime, tra poco avranno la seconda flotta della Nato. Gli algerini schierano sei sottomarini russi con missili Kalibr, l’Egitto dispone di sempre più navi. Insomma, una situazione complessa in cui abbiamo esteso le operazioni fino al Mediterraneo orientale e abbiamo ottenuto il riconoscimento di un ruolo leader da parte degli Usa e degli altri alleati».

Lei ha comandato in passato entrambe le missioni navali europee: Atalanta contro i pirati somali e Sophia contro i trafficanti di uomini nel Mediterraneo. Che contributo hanno dato alla crescita dell’Europa della Difesa?
«L’Unione Europea ha realizzato molte operazioni per addestrare e poche vere missioni militari: due delle più rilevanti sono state navali. Questo testimonia l’importanza che il mare ha non solo per l’Italia ma per l’intera Ue. Atalanta e Sophia hanno consentito di toccare con mano quanto sia importante avere forze armate che sappiano agire insieme in modo efficace. Ho comandato Atalanta nel momento di maggiore intensità degli assalti dei pirati somali: avevo undici navi e sette aerei da ricognizione. E tutti volevano partecipare a Sophia. Queste esperienze ci hanno consentito di migliorare i tempi e la cooperazione. Prima di Sophia si diceva che servivano almeno sei mesi per lanciare un’operazione, invece in 45 giorni siamo stati pronti e quelle lezioni hanno permesso di preparare Aspides in ancora meno tempo. Siamo ancora lontani da avere una difesa comune, che deve essere il futuro perché nessun Paese può fare da solo, ma queste missioni sono stati embrioni molto efficaci. L’Unione deve andare verso l’autonomia strategica, che non significa essere autonomi da qualcuno ma potere fare ciò che serve e quando serve: ci vuole una difesa comune, sia industriale che militare».
Oltre alle spedizioni militari, voi avete appena concluso un’iniziativa umanitaria curando sul “Vulcano” bambini e donne palestinesi feriti a Gaza…
«La Marina ha una missione duale, militare e umanitaria: le navi hanno grandi spazi e sono state concepite in maniera modulare per essere messe al sostegno della popolazione. La portaerei “Cavour”, che è la massima espressione bellica di un Paese, nella prima spedizione è andata a Haiti per soccorrere i terremotati e c’è rimasta due mesi. Il “Trieste”, che entrerà in servizio entro fine anno ed è la più grande unità italiana varata dopo la Seconda Guerra Mondiale, nasce con a bordo un ospedale avanzato. E il “Vulcano” ha curato decine di donne e bambini palestinesi feriti a Gaza grazie alle proprie capacità sanitarie e alla consolidata collaborazione con ong del Terzo Settore che hanno team medici pronti a intervenire insieme a noi».