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«Biden spinge per un accordo di pace in Medio Oriente ma se fossi in Netanyahu aspetterei Trump o Harris»
DALLA NOSTRA INVIATA WASHINGTON «Joe Biden cerca di spingere per un accordo di pace in Medio Oriente, perché ci tiene alla sua eredità in politica estera. Ma che incentivo hanno gli israeliani, i palestinesi o chiunque altro a grossi cambiamenti nei prossimi sei mesi? Se ci sarà una amministrazione Trump o anche Harris, l’accordo potrebbe essere più vantaggioso per un lato o per l’altro. Sono scettico che vedremo grosse svolte prima di novembre. Sembra che all’Arabia Saudita piaccia l’accordo (per la normalizzazione con Israele ndr), ma l’amministrazione Trump probabilmente sarebbe più amichevole coi sauditi. Per i palestinesi potrebbe esserci un incentivo a spingere durante l’amministrazione Biden, penso si attendano un trattamento più duro da Trump. Se fossi Netanyahu aspetterei e direi: "non voglio questo accordo di pace, so che Trump mi darà un assegno in bianco". Penso che in Medio Oriente, in Ucraina, in Cina ogni attore internazionale farà un calcolo simile».
Matthew Kroenig, vicepresidente e direttore dello Scrowcroft Center per la strategia e la sicurezza al think tank Atlantic Council, ha scritto We win, they lose sulla politica estera del partito repubblicano, con prefazione dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo, ed è considerato un possibile membro di una futura amministrazione Trump. Nel libro afferma che in politica estera il partito è unito su tutto, tranne l’Ucraina, con figure come Pompeo che vorrebbero che Biden desse di più a Kiev mentre il vice di Trump, JD Vance, dice «che ci importa dell’Ucraina». La strategia di Trump è di «fermare la guerra lungo le linee attuali, preservando l’Ucraina come stato sovrano e indipendente ma con la Russia che ne occupa alcune parti. Il risultato non sarà perfetto, ma penso che la strategia di Biden di combattere finché necessario con tutte le restrizioni su come gli ucraini possono usare le armi porterebbe allo stesso risultato dopo miliardi di dollari e migliaia di altre vite».
Giovedì Kroenig era al Centro Studi Americani per un incontro in collaborazione con la rivista Formiche.
Che cosa cambierebbe in Medio Oriente con Trump?
«Vedremmo una politica più dura contro l’Iran e le sue milizie per procura, sia in termini di pressione economica che militare. La prima amministrazione Trump portò le esportazioni di petrolio iraniano quasi a zero. Quella di Biden ha mantenuto gran parte delle sanzioni ma è meno dura l’implementazione di quelle secondarie. Per quanto riguarda la forza militare, il 7 ottobre sono stati uccisi degli americani, sono morti soldati americani in Giordania, c’è stato un attacco senza precedenti con 200 missili contro Israele, gli houthi tengono sotto scacco il commercio internazionale: Biden cerca la deescalation; sospetto che un'amministrazione Trump colpirebbe duramente navi iraniane, forze dei Guardiani della rivoluzione e houthi. Il programma nucleare iraniano si stia avvicinando al punto di non ritorno: Trump rimetterebbe in campo l’opzione militare, valuterebbe la distruzione delle strutture nucleari in un modo che non era sul tavolo per Biden».
Non si rischia una risposta iraniana e l’escalation ad una guerra aperta?
«Il rischio c’è. Ma storicamente l’Iran retrocede quando viene sfidato: sa di non poter vincere un’ampia guerra con gli Stati Uniti, perciò cercherà la de-escalation dopo che gli Usa attaccano. L’abbiamo visto dopo che Trump ha ucciso Soleimani».
Chi sceglierebbe Trump per il team di politica estera?
«La prima volta aveva scelto persone che poi ha sentito di non potersi fidare, come Mattis e McMaster che dicevano di essere gli adulti nella stanza. A volte Mattis andava al dipartimento della Difesa e diceva: il presidente ha detto "x" ma non lo faremo, facciamo quest’altro. Penso che stavolta privilegerà la fedeltà. Persone come Mike Pompeo, Robert O’Brien, Rom Cotton, Marco Rubio, Doug Burgum, Mike Waltz, John Ratcliffe: esperti e competenti, ma li considera anche fedeli».
Al summit Nato diversi funzionari e leader europei hanno incontrato Pompeo e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Keith Kellogg. Lei percepisce preoccupazione?
«Nel mio ruolo incontro spesso funzionari europei. Sanno cosa aspettarsi da una amministrazione Biden o Harris, e non gli piace tutto ma sapere dà conforto. C’è un livello di imprevedibilità con Trump: a me sembra che in Europa Occidentale siano più preoccupati, temono che sia più duro sulla condivisione del peso per la difesa e sui dazi. Penso che i Paesi nordici e Baltici siano un po’ più ottimisti e nei loro ministeri della Difesa ci sia il senso che possono lavorare con Trump 2 come con il primo Trump. Trump ha detto che imporrà dazi del 10% su tutti i commerci è così che lui inizia a negoziare, con richieste esagerate che non sono la sua posizione finale. Penso che minaccerà l’Unione Europea con i dazi, e se all’Ue non sta bene dirà che bisogna ridiscutere cose come i sussidi europei per i contadini».
E l’Italia?
«Penso che l’Italia debba fare in modo di raggiungere il 2% del Pil per la difesa, nonostante le difficoltà. L’ha promesso e la Nato ne ha bisogno. La stima in realtà è che serva il 3,6% da tutti i Paesi Nato…».
Matthew Kroenig, vicepresidente e direttore dello Scrowcroft Center per la strategia e la sicurezza al think tank Atlantic Council, ha scritto We win, they lose sulla politica estera del partito repubblicano, con prefazione dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo, ed è considerato un possibile membro di una futura amministrazione Trump. Nel libro afferma che in politica estera il partito è unito su tutto, tranne l’Ucraina, con figure come Pompeo che vorrebbero che Biden desse di più a Kiev mentre il vice di Trump, JD Vance, dice «che ci importa dell’Ucraina». La strategia di Trump è di «fermare la guerra lungo le linee attuali, preservando l’Ucraina come stato sovrano e indipendente ma con la Russia che ne occupa alcune parti. Il risultato non sarà perfetto, ma penso che la strategia di Biden di combattere finché necessario con tutte le restrizioni su come gli ucraini possono usare le armi porterebbe allo stesso risultato dopo miliardi di dollari e migliaia di altre vite».
Giovedì Kroenig era al Centro Studi Americani per un incontro in collaborazione con la rivista Formiche.
Che cosa cambierebbe in Medio Oriente con Trump?
«Vedremmo una politica più dura contro l’Iran e le sue milizie per procura, sia in termini di pressione economica che militare. La prima amministrazione Trump portò le esportazioni di petrolio iraniano quasi a zero. Quella di Biden ha mantenuto gran parte delle sanzioni ma è meno dura l’implementazione di quelle secondarie. Per quanto riguarda la forza militare, il 7 ottobre sono stati uccisi degli americani, sono morti soldati americani in Giordania, c’è stato un attacco senza precedenti con 200 missili contro Israele, gli houthi tengono sotto scacco il commercio internazionale: Biden cerca la deescalation; sospetto che un'amministrazione Trump colpirebbe duramente navi iraniane, forze dei Guardiani della rivoluzione e houthi. Il programma nucleare iraniano si stia avvicinando al punto di non ritorno: Trump rimetterebbe in campo l’opzione militare, valuterebbe la distruzione delle strutture nucleari in un modo che non era sul tavolo per Biden».
Non si rischia una risposta iraniana e l’escalation ad una guerra aperta?
«Il rischio c’è. Ma storicamente l’Iran retrocede quando viene sfidato: sa di non poter vincere un’ampia guerra con gli Stati Uniti, perciò cercherà la de-escalation dopo che gli Usa attaccano. L’abbiamo visto dopo che Trump ha ucciso Soleimani».
Chi sceglierebbe Trump per il team di politica estera?
«La prima volta aveva scelto persone che poi ha sentito di non potersi fidare, come Mattis e McMaster che dicevano di essere gli adulti nella stanza. A volte Mattis andava al dipartimento della Difesa e diceva: il presidente ha detto "x" ma non lo faremo, facciamo quest’altro. Penso che stavolta privilegerà la fedeltà. Persone come Mike Pompeo, Robert O’Brien, Rom Cotton, Marco Rubio, Doug Burgum, Mike Waltz, John Ratcliffe: esperti e competenti, ma li considera anche fedeli».
Al summit Nato diversi funzionari e leader europei hanno incontrato Pompeo e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Keith Kellogg. Lei percepisce preoccupazione?
«Nel mio ruolo incontro spesso funzionari europei. Sanno cosa aspettarsi da una amministrazione Biden o Harris, e non gli piace tutto ma sapere dà conforto. C’è un livello di imprevedibilità con Trump: a me sembra che in Europa Occidentale siano più preoccupati, temono che sia più duro sulla condivisione del peso per la difesa e sui dazi. Penso che i Paesi nordici e Baltici siano un po’ più ottimisti e nei loro ministeri della Difesa ci sia il senso che possono lavorare con Trump 2 come con il primo Trump. Trump ha detto che imporrà dazi del 10% su tutti i commerci è così che lui inizia a negoziare, con richieste esagerate che non sono la sua posizione finale. Penso che minaccerà l’Unione Europea con i dazi, e se all’Ue non sta bene dirà che bisogna ridiscutere cose come i sussidi europei per i contadini».
E l’Italia?
«Penso che l’Italia debba fare in modo di raggiungere il 2% del Pil per la difesa, nonostante le difficoltà. L’ha promesso e la Nato ne ha bisogno. La stima in realtà è che serva il 3,6% da tutti i Paesi Nato…».